La Voce di Trieste

Evasione fiscale, riscossione ed equità

Il rigore tributario deve colpire i forti e non affossare i deboli

Se qualcuno non se ne fosse ancora accorto, una buona metà della crisi del debito italiano sul mrcato finanziario internazionale, e quindi del rischio di fallimento del Paese, era e rimane problema non di cifre o denaro in sé, ma di credibilità dei governanti. Ed è esattamente questo il maggiore apporto del governo Monti, al di là delle riforme effettive che propone, spesso discutibili ed in concreto non eclatanti.
Di questa credibilità è ovvia condizione lo sforzo di recupero dell’evasione fiscale. Che in Italia come consuetudine sociale raggiunge cifre stratosferiche in forza di un circolo meccanismo perverso di sfiducia nelle istituzioni che contribuisce ad indebolire. Ed il recupero si esegue con la riscossione delle evasioni accertate.
Ma proprio sulla riscossione si stanno sviluppando in tutto il Paese proteste e denunce di iniquità sempre piu diffuse, e così esasperate da condurre persone perbene al suicidio o ad atti di violenza verso gli esattori. E questi esiti tragici non non sono fatalità, ma la prova che di violazioni abnormi del principio costituzionale di equità fiscale fondata sulla proporzionalità della pretesa pubblica alle risorse reali di ognuno. Generando perciò quelle stesse diseguaglianze e miserie che Ognuno inoltre sa, qui e nel mondo, che l’Italia non è affatto un Paese normale dove governi normalmente competenti e rigorosi spendono quote oneste delle entrate fiscali per garantire buoni servizi pubblici ed assistenze sociali adeguate facendo star meglio tutti, e l’evasione si limita per lo più ad alcune categorie di furbi e ladri che è relativamente semplice indagare e punire, formando norme fiscali senza scappatoie, e provvedendo gli organi inquirenti e giudicanti di mezzi, personale ed autonomie adeguati. Mentre in Italia vengono sottottrezzati apposta e pressati a risparmiare i potenti e colpire i deboli.
Ma va anche riconosciuto che l’enorme evasione fiscale italiana è generata e composta da intrecci di generi e livelli radicalmente differenti . Che perciò richiedono anche valutazioni ed interventi diversi da quelli i validi per altri Paesi europei.
C’è anzitutto l’evasione degli italiani ricchi, che si divide in due categorie principali. La prima è quella dei supermiliardari, come tali superprotetti ed arroganti, all’uso di Berlusconi. Che ha addirittura usato i suoi capitali discussi per impadronirsi di governo e parlamento per farsi e gestirsi le leggi in casa.
L’altra categoria sono i ricchi e benestanti che non vogliono pagare le tasse per principio, o perché andrebbero ad incidere sulle loro barche, ville, auto, ed altre scelte di lusso. E sono evidentemente tantissimi, se solo il 2% degli italiani dichiara redditi annuali superiori ai 75mila euro, ma i titolari di beni e proprietà di lusso sono molti di più.
Ma per rintracciarli e farli pagare il dovuto non occorrono superattività di intelligence, né operazioni a tappeto sul terreno, come se ne vedono fare anche di recente tra gran clamori di stampa. Basta avere invece vera volontà di aggure, ed un prograsmmino banale che incroci i dati fiscali con quellidei registri pubblici della titolarità di automobili, natanti, edifici , imprese e quant’altro.
C’è poi l’evasione di mafia, che in Italia con le attività illecite e le forme di lavoro nero connesse accumula e sottrae, direttamente e riciclandole, quantità gigantesche di denaro.
Avvalendosi necessariamente di tolleranze e collusioni spontanee o forzose con ambienti politici, imprenditoriali ed istituzionali.
Ma combatterla non è procedura fiscale ordinaria: è una guerra campale durissima e concretamnte sanguinosa sul campo, dal Sud al Nord del Paese, con tecniche, mezzi personale speciali. Che invece vengono anch’essi significativamente limitati, ed appena toccano le intese di vertice tra mafie e politica finiscono bloccati o uccisi.
Sono dunque queste tre categorie di evasori che assommano la quasi totalità dell’evasione fiscale in tutto il Paese, e lo costringono a ricavare le risorse mancanti sottoponendo il lavoro autonomo e dipendente a prelievi fiscali eccessivi (sino al oltre il 50%) e non compensati da servizi pubblici proporzionali. I soggetti parassiti divenuti più ricchi e criminali sottraendo risorse ai più deboli ed esposti finiscono cioè protetti, di fatto, da un sistema che poi se ne rivale sulle, ed in misura sproporzionata, loro stesse vittime.
Generando così la quarta categoria di evasioni: quella di necessità degli svantaggiati, che è perciò anche la più capillare e diffusa, ma anche la più modesta nell’entità dei versamenti fiscali individualmente o cumulativamente omessi. Perché l’evasione povera di lavoratori autonomi e dipendenti, registrati od in nero, che se li pagassero non si privebbero solo degli sfizi, ma delle risorse minime di sopravvivenza.
E non sono parassiti sociali, perché continuano ad alimentare con i loro redditi magri e numerosi almeno il circuito di consumo dell’economia locale e nazionale. Mentre le vere categorie parassitiche, quelle privilegiate degli evasori ricchi, conservano e spendono i loro fondi neri per lo più all’estero.
In Italia quindi l’evasione ricca è e rimane un fenomeno di criminalità individuale, associativa od organizzata, mentre quella povera è in realtà un fenomeno di degrado sociale diffuso, determinato dall’altra. Ed il fatto che sia divenuto costume culturale difficilmente reversibile non modifica, ma anzi conferma, la natura, permanenza e gravità di questo meccanismo abusivo paradossale. Che opera inoltre praticamente ininterrotto sin dalla fondazione dello Stato italiano, 150 anni fa.
Vi è inoltre sproporzione abnorme nell’applicazione delle medesime sanzioni e misure di riscossione forzata all’evasore ricco o benestante, che come tale ne ricaverà poco o comunque minore danno, ed all’evasore di necessità, che essendo povero ne verrà privato di beni vitali per lui insostituibili precipitandolo nell’indigenza ed emarginazione spesso totali, cioè fuori circuito di lavoro e consumo. Col paradosso ulteriore che gli viene impedito così anche di poter pagare gradualmente il proprio debito con lo Stato, dalla cui riscossione forzata parziale guadagneranno soltanto l’esattore in percentuale, e gli speculatori che acquisteranno a prezzo minimo i beni del soggetto così espropriato e rovinato.
È dunque un meccanismo discriminatorio che contrasta clamorosamente con l’interesse fondamentale del creditore di mantenere il debitore in condizioni di benessere e produttività sufficienti a consentirgli di pagare, e nel caso della riscossione fiscale indiscriminata sui meno abbienti le distruggendole su vasta scala incrementando drammaticamente povertà e recessione, e con esse la criminalità e tensioni sociali potenzialmente esplosive. E recando così alla collettività statale danni e pericoli infinitamente maggiori delle piccole somme incassate.
Non si tratta perciò soltanto di ingiustizia scandalosa, ma di una vera e propria follìa economica, sociale e politica. Che può essere evitata soltanto compensando rapidamente lo svantaggio economico dei meno abbienti con nuove norme apposite di riscossione giustamennte differenziata e proporzionale, che privilegino razionalmente rateazioni possibili anche molto prolungate del debito fiscale, e vietino il pignoramento di beni vitali che il debitore non ha i mezzi per sostituire, a cominciare dalla casa.
I politici di centrodestra e centrosinistra non se ne sono sinora mai curati, ed i loro governi hanno anzi inasprito tutti vergognosamente la riscossione fiscale indiscriminata anche sui soggetti più deboli. Ma il governo tecnico dell’economista Mario Monti dovrebbe avere sia la capacità di rendersene conto, sia la sensibilità etica dei i mezzi pratici necessari per provvedere.
Anche perché si tratta, in sostanza, di una forma di riduzione del debito attraverso la garanzia d’incasso differito di una massa considerevole di crediti resi altrimenti inesigibili.

© 2 Maggio 2012

Galleria fotografica

La locandina

Sfoglia online l’edizione cartacea

Accedi | Designed by Picchio Productions
Copyright © 2012 La Voce di Trieste. Tutti i diritti riservati
Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Trieste - n.1232, 18.1.2011
Pubblicato dall'Associazione Culturale ALI "Associazione Libera Informazione" TRIESTE C.F. 90130590327 - P.I. 01198220327
Direttore Responsabile: Paolo G. Parovel
34121 Trieste, Piazza della Borsa 7 c/o Trieste Libera
La riproduzione di ogni articolo è consentita solo riportando la dicitura "Tratto da La Voce di Trieste"