La Voce di Trieste

In treno con i viaggiatori serali

di

Giuseppe, capo-cantiere a Mestre.. forse

La tipologia dei viaggiatori serali è ben diversa da quelli diurni. Di solito dormono o ascoltano musica e il loro sguardo è abbastanza perso nel vuoto. La temperatura e l’aria dei treni, poi, rispetto a quelli del mattino è piuttosto ammorbata, anche perché evidentemente questi mezzi sono andati su e giù per tutto il giorno da una stazione all’altra e di gente ne hanno vista parecchia. Di fronte a me c’è un uomo che sta dormendo alla grande e tra un po’ potrebbe anche iniziare a russare. Per fortuna che la bavaccia non gli scende dalla bocca. Avete presente che tante volte può capitare di dormire e di bagnare un po’ la federa del cuscino? Ecco, io quella la chiamo bavaccia. Sicuramente un po’ in carne, vestito in modo sportivo: jeans, felpa, giubbotto in pelle dall’aria parecchio vissuta e, incredibile, vista l’età non più giovane dell’uomo, porta in capo un berretto con frontino piuttosto stiloso. Non pensiate che sia una maniaca, semplicemente mi piace osservare le persone. Vi è mai capitato di incontrare qualcuno e di essere curiosi? Magari è una persona completamente sconosciuta o magari incontrata per la prima volta e avreste voglia di fargli il terzo grado, invece ve ne state buoni buoni, perché l’educazione impone certi comportamenti, dalle cui grinfie ben pochi scappano. L’uomo, intanto continua a dormire. Chi mi impedisce allora, visto che non posso scrollarlo e dirgli: “Ehi tu, mi racconti un po’ di te, così finisco quest’articolo?”, di raccontare io la sua storia e chissà, magari se nei prossimi martedì lo incontrerò di nuovo, sveglio, potrei sempre leggergliela, la storia intendo, così magari si fa anche due risate.

Giuseppe, questo il nome dell’uomo che mi sta seduto di fronte, ha avuto una giornata molto intensa. Lavora come capo-cantiere a Mestre. Oggi ha avuto una giornata bestiale. Sta lavorando con i suoi uomini da circa un mese alla ristrutturazione di una vecchia industria tessile e i lavori stanno andando decisamente a rilento. Ci sono continui intoppi nelle forniture del materiale, che non arriva mai nei tempi stabiliti e ora, come se tutto ciò non bastasse il suo braccio destro, Massimo, si è pure infortunato. Giuseppe fa ogni giorno su e giù Mestre-Latisana e incomincia ad essere stanco, anche perché non è più un giovanotto. Vorrebbe cambiare lavoro, ma alla sua età non è facile ricollocarsi. È vero, non ha una famiglia da mantenere, ma per cambiare lavoro dovrebbe prima essere certo d’averne un altro e soprattutto retribuito come questo. È vero che lavorare come capo-cantiere è una grossa responsabilità, ma è pur sempre un lavoro che dà delle soddisfazioni, nel senso che veder crescere i lavori ti fa sentire simile a un dio. Il che non è poco. Nel dormiveglia Giuseppe pensa: “Sono stato proprio un meschino a dire ad Anna che con me non ha speranze. Ma che cosa mi è saltato in mente, dico io, perché non provo a pensare prima di dare aria alla mia bocca? Ho mandato alle ortiche mesi di corteggiamento, come se poi mi avanzasse il tempo! E solo perché avevo bevuto un po’. Non cambierò mai, sono sempre il solito idiota. Ben mi sta se mi ha piantato. Tratto tutti a pesci in faccia, e non solo lei, anche i miei operai. Li vedo. Quando sto per avvicinarmi cambiano velocemente discorso ed è evidente che parlano male di me. Sono proprio uno stronzo. Ma quando imparerò a comportarmi da uomo?

Giuseppe ha tra le mani il cellulare ed è evidente che spera che qualcuno lo chiami: forse Anna? Potrebbe sempre succedere il miracolo. Magari Anna si rende conto che sul mercato ci sono molti peggio di me e che tutto sommato io, qualche aspetto positivo ce l’ho. Ma il telefono non dà segni di vita. Resta muto.

Ora Giuseppe ha aperto gli occhi e guarda fuori dal finestrino. Tra un po’ dovrà scendere dal treno. A casa non lo aspetta nessuno. Il frigo sarà sicuramente vuoto. Controlla per l’ennesima volta il cellulare, nella speranza di farlo squillare con la forza del pensiero. Ma non ce la fa. Sul volto compare una smorfia, che manifesta tutto il suo disappunto. “Ma chisenefrega”- pensa tra sé e sé. Se non è Anna, sarà un’altra. Lo dice a se stesso per autoconvincersi, ma sa in cuor suo sa che non è vero, perché quando una storia finisce lascia il segno e ogni volta è sempre peggio. Dovrebbe trovare il coraggio d’andare da lei e chiederle scusa. Magari lo farà. Potrebbe portarle dei fiori, invitarla a cena. Non si fa così nei film? Lì spesso finisce bene, ma nella vita reale non sempre tutto fila liscio. Giuseppe si stiracchia e si sgranchisce.

Ma sicuramente l’uomo che ho davanti a me non si chiama Giuseppe e non fa il capo-cantiere a Mestre e magari è sposato con quattro figli a carico. Ma che importa. Con la fantasia posso costruire infinite storie e cucirle addosso a chiunque io incontri. Adesso Giuseppe mi sta guardando e chissà che cosa starà pensando di me, quella pazza che non ha fatto altro che sbattacchiare i tasti per tutto il viaggio. Forse anche a lui verrebbe voglia di chiedermi qualcosa, ma l’educazione impone che questo non avvenga perché chi fa così è chiaramente uno che ci prova. E lui, Giuseppe ha ancora una dignità da difendere. Non sembra ma è così.

 

clà (claudia@interware.it)

© 30 Marzo 2011

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