La Voce di Trieste

Noi semo i Tre Re, vignudi dal Oriente

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La tradizione mitteleuropea e triestina della visitazione augurale per l’Epifanìa: un uso popolare antico ricco di valori simbolici ed altrove rinnovato a scopi benefici

A Trieste l’Epifanìa, che fa parte delle feste del solstizio d’inverno, è sempre stata celebrata nella tradizione cristiana mitteleuropea della visitazione con canto augurale dei Tre Re – Trije Kralji – Drei Könige, tuttora diffusa nei paesi germanici e slavi.
Dove i giovani Sternsinger (cantori della stella), o trijekraljevski koledniki, rappresentano anche lo spirito di fraternità tra i popoli e da alcuni anni raccolgono offerte per aiutare i bambini poveri in Europa e nel mondo, con iniziativa che in Germania coinvolge 85.000 giovani, e potrebbe venire estesa anche da noi.
La tradizione dei Tre Re non é inoltre mero folklore, ma una rappresentazione sacrale antica e ricca di valori simbolici e di solidarietà umana, a differenza dalle pseudo-tradizioni irreligiose e commerciali recenti sovrapposte al Natale cristiano (come la ‘befana’ introdotta dal fascismo italiano ed il ‘babbo natale’ statunitense, attecchiti su deculturazioni di massa).

L’origine della tradizione

All’origine delle tradizioni sui Tre Re, complesse ed elaborate nel tempo, sta il Vangelo di Matteo, che è il più attento alla legittimazione profetica del Cristo come Messìa. Al suo capitolo 2 narra infatti, come i vangeli ritenuti apocrifi, di alcuni “maghi dall’Oriente” (????? ??? ????????) per venerare il nuovo signore d’Israele annunciato loro da una stella, secondo la tradizione astrologica persiana.
Il nome di maghi o magi, indicava infatti i sacerdoti persiani della religione monoteista rivelata di Zoroastro, quella mazdaica, ed il racconto rappresenta il compimento di una sua profezia sulla ricongiunzione messianica con la rivelazione ebraica; i magi erano ritenuti inoltre i massimi depositari delle scienze  filosofiche, matematiche, naturali e mediche dell’epoca.
Con ciò il loro riconoscimento dell’epiphanéia (manifestazione) di Dio nel bambino appena nato
significava contemporaneamente il compimento universale delle profezie ed il primato spirituale e filosofico del principio divino manifestato, quello della caritas, amore, come legge universale suprema, simbolizzata dalla luce della stella.
Questa visione rifletteva anche la confluenza graduale nel cristianesimo in formazione di rituali, simboli e fedeli del culto concorrente di Mithras e si conserva nelle rappresentazioni più antiche dei Magi col berretto frigio ed il mantello dell’iconografia mitraica, come le troviamo nelle catacombe romane del 2°-3° secolo ed ancora nei mosaici bizantini del 6°  in Sant’Apollinare nuovo a Ravenna.

Le elaborazioni medievali

La mistica medievale sviluppò poi nuove espressioni simboliche di quei significati profetici, riassumendoli nei i doni d’oro, incenso e mirra ed integrandoli col ruolo dei Magi come rapprentanti di tutti i popoli e le tradizioni sapienziali del mondo di allora: vennero così assegnati loro il numero di tre, le fattezze dei popoli d’Europa, Asia ed Africa, età diverse, il titolo regale ed i nomi di Caspar, Melchior e Balthazar,
Il culto così innovato dei Tre Re si consolid nella Mitteleuropa del 12 secolo con il trasferimento solenne, disposto dall’imperatore Federico I, di loro reliquie (prese a Costantinopoli) da Milano alla cattedrale di Köln, Colonia, dove si trovano tuttora esposte e venerate in uno splendido scrigno dorato.
Nella pratica religiosa i Tre Re venivano invocati come patroni dei viaggiatori, e dei pellegrini – raffigurandoli in viaggio per terra o per mare – ed evocati ogni anno nella notte dell’Epifanìa come protettori magici della casa, delle persone e delle loro risorse materiali, nelle forme medievali delle rappresentazioni sacre in costume che li personificavano nelle due forme pricipali conservate sino ai nostri giorni: la cavalcata processionale alla chiesa per solennizzare i riti epifanici, e la visitazione augurale delle case.

I rituali di visitazione e protezione delle case
La visitazione era affidata ai giovani, a loro volta simbolo nell’inverno delle forze nuove di primavera, in costumi rievocativi e nel numero di quattro: i Tre Re incoronati, più il portatore di una stella. La visita avveniva ed avviene bussando alla porta della casa, cantando una formula augurale, ricevendo degli oboli in denaro o cibo, e tracciando col gesso sulla soglia la data e la sigla C.M.B., corrispondente alle iniziali dei Magi e di Christus Mansionem Benedicat, Cristo benedica questa casa, tra la data spezzata dell’anno e croci, che per il 2011 é: 20+C.M.B.+11.
Dopo la nascita della stampa si diffusero anche delle incisioni popolari da tenere in casa, come quelle sei-settecentesche in tedesco e sloveno che riproduciamo in questa pagina. Oltre ad immagini sacre ed alla sigla C.M.B. vi si possono trovare formule di benedizione complete, come quella della seconda che si traduce: Benedizione della casa  nel sacro Nome di Gesù, e dei santi tre Re – O Tu nostro santissimo Signore Gesù Cristo, unico re del cielo e della terra, Gesù nazareno Figlio di Davide, proteggi questo Popolo che ha in te le sue speranze dell’anima e del corpo. O buon Gesù, benedici questa Casa e le persone, gli animali, i campi di grano e le vigne, e proteggili dal male. O Maria Madre di misericordia, noi ti preghiamo di avere pietà di noi, O voi dodici santi Apostoli S. quattro Evangelisti, S. tre Re, Gasper, Melhor, Boltezar, e tutti i santi e le sante di Dio, pregate per noi con la Vergine Maria che suo figlio Gesù abbia pietà di noi. Santa Trinità proteggi questa casa e guardala da ogni male, dalla malattia sconosciuta e dal fuoco, dal fulmine e dall’acqua. Da tutto ciò ci protegga Dio † Padre † Figlio, e † Spirito Santo. Amen.

Gli usi triestini
Pure negli usi triestini la visitazione delle case era affidata ai ragazzini, con costumi semplici secondo le possibilità di casa, od anche in abiti comuni. Le forme tradizionali si sono conservate soprattutto nel territorio rurale extraurbano, con popolazione stabile slovena.
Nel tessuto popolare della città emporiale, formato in prevalenza da immigrati delle più varie origini e classi sociali, la visitazione tendeva invece a ridursi alla questua augurale cantata nel nuovo dialetto triestino otto-novecentesco che aveva ormai soppiantato l’antico ladino tergestino simile al friulano, e con formula probabilmente modellata sulle analoghe austriache e slovene poiché non si trattava di usanza italiana.
“Andàr a cantàr i Tre Re” raccogliendone gli oboli rappresentava anche una risorsa per i bambini e le famiglie indigenti, ancor più in difficoltà nel freddo invernale. Il canto triestino sottolinea infatti la povertà del bambino Gesù che non poteva nemmeno scaldarsi, e si conclude con una benedizione. Ne sono state registrate più varianti, da una base originaria comune che si può ricostruire così:

Noi semo i tre Re / vignudi dal Oriente / per adorar Gesù. // Gesù bambino nassi / con tanta povertà. / Né fisse né fasse, / né fogo per scaldarse. //Maria lo visa / sant’Ana sospira / perché xe nato al mondo / el nostro Redentòr. // Canta, canta rose e fior, / che xe nato nostro Signòr. / El xe nato a Betleme / tra un bue e un asinel. // Cossa se porta in tel cestel? / Una fassa, un panisel / per Gesù bel, Giusepe e Maria / tuti quanti in companìa. // A chi che la sa / e a chi che la canta, /che Dio ghe daghi / la gloria santa. // Se ghe piaserà al Signòr / torneremo un altro anno. / Viva, viva el novo de l’anno.

Echi di un mondo di ieri, più semplice e più povero, si dirà. Ed è vero. Ma oggi le povertà stanno ricrescendo in forme nuove e spaventose, e quella semplicità antica conteneva anche le purezze d’animo e le solidarietà che ci potrebbero aiutare ad affrontarle.

© 12 Gennaio 2011

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