La Voce di Trieste

Il sequestro del triestino Bon ed equipaggio: boicottiamo politici, partiti e armatore inerti!

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Appello locale e generale

È da febbraio, sette mesi, che in Somalia i 22 uomini d’equipaggio della motonave Savina Caylin dell’armatore italiano D’Amato, 15 indiani e 5 italiani tra i quali il primo ufficiale di coperta triestino Eugenio Bon, sono in mano ad una banda di pirati che chiedono un riscatto per lasciarli in vita e restituire la nave. Nell’inerzia almeno apparente delle autorità e dell’armatore italiani, che aggrava  ogni giorno la situazione dei sequestrati tra degrado, disperazione e tensioni crescenti nel caldo torrido tra vittime e carnefici.

Noi cittadini non abbiamo ovviamente il potere di liberare gli ostaggi. Ma abbiamo, eccome, quello di esercitare il massimo della pressione sui politici, le istituzioni e l’armatore, che ne hanno invece, oltre ai mezzi, il dovere di intervenire efficacemente. E con la massima urgenza, perché il precipitare della situazione è ormai più che evidente, anche se la gran parte dei media italiani evita di parlarne e persino di dar voce ai famigliari dei sequestrati.

Già a fine agosto il padre di Eugenio, Adriano Bon, denunciava da Trieste: «Il ministro La Russa ha inviato il cacciatorpediniere Andrea Doria in Somalia per monitorare il sequestro della Savina Caylin. Ma non ha specificato che il monitoraggio era limitato ad un fugace passaggio, all’interno pare, di una più vasta e diversa missione.»

Ed aggiungeva con amarezza: «Certo, dietro le quinte ci dovrebbe stare anche un lavoro di intelligence, una rete di servizi per acquisire il quadro degli accadimenti, ad essa si accenna e sussurra e per noi profani è un’immagine circondata di mistero: sono uomini concreti sul territorio, o lavorano e intercettano con tecnologie via etere? Sono ben strumentati e preparati? Di tali informazioni, solo una minima parte, le meno segrete, sono girate alla Farnesina e di seguito a noi familiari. E verso i loro operatori incolpevoli, a volte ci irritiamo per la scarsezza di quanto ci comunicano, ma in sostanza loro svolgono un compito di contenimento alle apprensioni delle famiglie

Rilevando poi: «Tutte queste opzioni, militari e servizi, sono solo l’occhio che osserva, ma la liberazione dovrà dipendere dalle decisioni finali del Governo. Quindi al vertice del problema da un lato va posto il Governo e dall’altro la Compagnia di Navigazione, i quali inspiegabilmente operano su binari indipendenti. Invece, considerando che le Compagnie di bandiera godono di molti favori da parte dello Stato, ci dovrebbe essere un controllo, in questo contesto, sull’operato dell’Armatore Luigi D’Amato, personalmente resosi per noi familiari irraggiungibile.»

E precisava infine il concreto più preoccupante e sottaciuto dalle autorità: «Le Compagnie più responsabili che trasportano merci di valore in quei tratti di mare sottoscrivono un’assicurazione aggiuntiva sul rischio pirati, se questo fosse stato fatto, la liberazione della petroliera poteva avvenire già nei mesi scorsi. Nella logica comune l’assicurarsi per questi rischi mette al riparo l’Armatore dai gravi danni economici sul rischio di un prolungato inutilizzo della nave, delle sue strutture, del deterioramento merci, e inoltre dal dover reggere l’imbarazzo d’abbandonare l’equipaggio a un ingrato destino: o non è così? In conclusione, abbiamo il Governo che si limita a osservare e controllare la situazione; l’Armatore che non è in grado di soddisfare le richieste dei pirati; e la “tortuga” infine che non cede dalle sue posizioni.»

La previsione del padre dell’ufficiale triestino sequestrato era e rimane ovvia: «Stando così le cose, la prigionia si potrebbe allungare per altrettanti mesi e quindi si sappia che i nostri cari non saranno ammazzati dai pirati ma potranno perire per essere stati abbandonati all’inedia, stenti e consunzione

Ed ora l’ha appena confermata una telefonata del figlio ancora più drammatica, nella voce esausta e nelle parole, delle precedenti: «Per favore salvami, sto morendo, le gambe non le sento più, non riesco a camminare, ho la pelle tutta rovinata, ormai ci torturano ogni giorno, sono sfinito, il corpo non risponde più, e ogni giorno è peggio, perché ancora nessuno ha pagato»

E questo mentre altri Paesi colpiti dagli stessi sequestri mostrano di saperli affrontare recuperando gli equipaggi e le navi abbastanza presto e con qualsiasi mezzo utile, dalla negoziazione al pagamento, all’assalto militare. Ed è anche ben noto come in sequestri che abbiano sfondo od interesse di politica estera o interna Roma usi pagare riscatti enormi, anche se nega ogni volta di averlo fatto. Così come si spendono retoricamente fiumi di attenzioni pelose, cerimonie e parole per qualche singolo caduto in guerra.

Dobbiamo dunque pensare che in questi casi somali, trattandosi invece degli ostaggi civili di pirati miserabili che non sono politicamente nessuno, per il governo italiano diventino umanamente nessuno anche i loro sequestrati?

Ed allora l’interesse occorre crearlo dall’interno del Paese, boicottando i responsabili: nessun politico nazionale o locale che mostri disinteresse o tenti di imbrogliare su questa tragedia incombente deve avere più i nostri voti, e va boicottato duramente anche l’armatore.

Facciamone dunque girare tutti l’appello in rete, prima e quanto più possibile!

 

Qui le foto della fiaccolata che si è tenuta a Trieste il 14 settembre

© 19 Settembre 2011

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