La Voce di Trieste

Trieste: l’incredibile e miserabile storia dietro la pseudo-Biennale di Sgarbi nel Porto Franco

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Complemento d’inchiesta

Noi non abbiamo ovviamente nulla contro le mostre d’arte contemporanea. Anzi: andrebbero liberalizzate dovunque possibile, anche su piazze e strade, per poter presentare appunto liberamente al pubblico opere ed artisti sottraendoli al giogo parassitico dei troppi critici, galleristi, media e circoli esclusivi. Anche nell’arte non c’è civiltà senza libertà.

Ma non è alla categoria della libertà artistica, come nemmeno della buona amministrazione, che appartiene la pseudo-Biennale “diffusa” di Vittorio Sgarbi nel Porto Franco di Trieste, per quanto possa attirare di persone, interesse alle opere e curiosità sin dalla sua inaugurazione del 3 luglio. Ne avevamo perciò scritto più volte (leggi qui) non sul piano dei giudizi artistici, ma degli imbrogli ed inganni connessi.

Di questi imbrogli ed inganni vi proponiamo ora le nuove prove documentali fornite dal testo dell’atto formale con cui il Commissario del Governo nella Regione Friuli Venezia Giulia – che è anche il Prefetto di Trieste – è stato costretto a decretare, arbitrariamente ed erroneamente, una sospensione temporanea del regime extradoganale di punto franco su una vasta area portuale pretesa dagli organizzatori e dai loro appoggi politici e governativi.

Ma dobbiamo prima riassumere la situazione perché si comprenda meglio tutta questa storia incredibile e miserabile, fatta di negligenze, millanterie e rapacità di alcuni, e sudditanze, ignavie, ignoranze e provincialismo credulone di altri, in spregio alla legalità, al lavoro vero ed alla dignità stessa di Trieste.

 

La Biennale non è il “Padiglione Italia” di Sgarbi

La Biennale internazionale d’arte di Venezia è la tra le più importanti rassegne d’arte moderna del mondo, dove ognuno dei Paesi che vi partecipano allestisce un proprio padiglione. Poiché l’uso del marchio della Biennale è riservato all’ente promotore ed all’evento veneziano, i singoli padiglioni e Paesi non possono disporne in proprio.

Il ministero della cultura berlusconiano ha affidato già nel gennaio 2010 l’allestimento del Padiglione dell’Italia a Vittorio Sgarbi, ben noto come arrogante personaggio televisivo. Con l’idea, inoltre, di collegare a questo “Padiglione Italia” – dunque non la Biennale – a mostre in tutte le regioni del Paese e presso le sue rappresentanze diplomatiche all’estero, nell’ambito delle celebrazioni di asseriti 150 anni dell’unità nazionale.

Mentre gli allestitori dei padiglioni degli altri Paesi a Venezia e le ambasciate italiane nel mondo si davano diligentemente da fare per oltre un anno, lo Sgarbi risulta aver condotto invece l’incarico con ritardi e negligenze tali da trovarsi ad improvvisare Padiglione nazionale e mostre regionali ormai a ridosso dell’inaugurazione veneziana (3 giugno), ed a scegliere con criteri molto discutibili gli artisti da invitare.

I giudizi di autorevoli ambienti culturali e riviste d’arte sono stati perciò severissimi ed il risultato a Venezia così deludente da meritare pesanti stroncature nazionali ed internazionali, mentre vi sono problemi e contestazioni anche altrove, come a Torino. L’opinione critica corrente è che ci troviamo di fronte ad un ennesimo caso di avventurismo negligente ma politicamente superprotetto di questo personaggio mediatico.

A Trieste lo Sgarbi ed i suoi hanno annunciato a sorpresa la mostra sui media verso fine aprile, inizialmente con il marchio della Biennale e spacciandola per sezione locale di una “Biennale diffusa”. Dichiarando che l’avrebbe realizzata nel magazzino 26 del Porto Franco Nord (portovecchio), ma senza avene ancora nessun permesso. L’area è infatti preclusa per legge ad attività non portuali e soggetta a regime extradoganale di diritto interno ed internazionale. Lo spazio preteso dallo Sgarbi risulta inoltre eccessivo per le opere dei circa 170 artisti in previsione, che potevano essere esposte meglio altrove in città, senza tanti problemi e con minore spesa. I conti, dunque, non tornavano sin dall’inizio.

 

La speculazione immobiliare illegittima sul porto

La spiegazione sta nel fatto che Sgarbi appoggia notoriamente da tempo la lobby parassitica di politici, costruttori e professionisti che sta tentando di forzare con ogni genere di propagande ed espedienti l’eliminazione del Porto Franco Nord, lasciato apposta in degrado dalla politica portuale italiana benché continuino ad esservi investitori internazionali interessati a riattivarlo creando migliaia di nuovi posti di lavoro per la città.

Non è infatti un segreto che Roma sta soffocando da decenni con trascuranze ed impedimenti di ogni genere il porto di Trieste, ed anzitutto il suo regime di Porto Franco Internazionale, perché non faccia concorrenza ai porti della penisola italiana politicamente più influenti. Né che gli esecutori locali di questa politica ne stanno approfittando spudoratamente per tentar di degradare quello strumento portuale straordinario di lavoro per tutti ad area urbana ordinaria di speculazione edilizia ed immobiliare. Cioè di nuovi affari per loro stessi.

E lo fanno a forza di slogan sulla presunta inutilità del Porto franco, il degrado delle strutture, il loro “recupero”, la “restituzione alla città” dell’area (che in realtà non ne ha mai fatto parte), e così via, accompagnati da tutta una serie di atti amministrativi illegittimi. Culminati da qualche mese in una concessione appunto illegittima ai potenti e discussi costruttori Maltauro e Rizzani De Eccher ed altri attraverso una società apposita, la Portocittà srl.

Il tutto addormentando l’opinione pubblica con un appoggio del quotidiano locale Il Piccolo (gruppo Espresso) così acritico da rischiar di diventare anche una delle pagine più vergognose nella storia della disinformazione mediatica in questa città. Dove non è che ne manchino.

Ora Trieste si trova perciò nella situazione paradossale in cui la nostra Voce è la sola a documentare e denunciare pubblicamente la rapina portuale in corso, mentre sono in vista nuovi investitori internazionali per il Porto franco, su buona parte del quale Portocittà ed i suoi complici hanno in mano una concessione di settant’anni sapendola illegittima ed inattuabile, anche a fronte dei ricorsi amministrativi ed alle denunce penali già in atto e di prossima presentazione.

Stanno perciò tentando, come avevamo già scritto, la politica del fatto compiuto: “sfondare” (è termine loro) con qualsiasi pretesto la cinta doganale del Porto franco facendone sospendere il regime extradoganale, e spacciare alla gente come un progresso straordinario quest’imbroglio interno ed internazionale, avendo complice significativo lo stesso Ministro degli esteri italiano Frattini. Per scoraggiare così sia gli oppositori che gli investitori internazionali alternativi.

È esattamente per questo che si sono serviti della mostra improbabile di Sgarbi – e l’hanno pure dichiarato apertamente sin dall’inizio ed all’inaugurazione – impegnando addirittura mezzo milione di euro (un miliardo di vecchie lire) di Portocittà per le opere necessarie a sfondare anche fisicamente la cinta doganale con apposite nuove strade d’accesso al padiglione della mostra. Ed organizzando forti pressioni governative e mediatiche per costringere le istituzioni dipendenti e la pavida e confusa classe politica locale a non impedire l’operazione truffaldina. Con un sostegno ulteriore dal Ministero degli esteri, che si è affrettato a rimpolpare sostanziosamente la misera mostra originaria di Sgarbi con opere di artisti stranieri d’area centroeuropea, ovviamente apprezzabili ma palesemente fuori tema.

I discorsi d’inagurazione della mostra sono stati poi un’orgia retorica invereconda di pubblicità irrazionale e fuorviante per l’urbanizzazione illegittima del Porto Franco Nord, con accodamento ripetitivo a gara di vecchie e nuove autorità locali assortite, e con Sgarbi che da par suo dava dei deficienti ad oppositori e dubbiosi. Più un editoriale d’appoggio del collega che dirige il Piccolo. Come se si trattasse di chissà che evento, e se non fosse possibile far mostre altrove che nel Porto Franco: costoro ci stanno prendendo davvero tutti per scemi.

 

Le prove nel decreto del Commissario

Le illegittimità, gli imbarazzi, le contraddizioni ed i rischi reali di questa manovra risultano invece comprovati con estrema chiarezza dall’analisi del decreto con cui il Commissario del Governo è stato infine costretto, evidentemente da poteri sovraordinati, a disporre pur con forti e significative limitazioni la sospensione del regime di Punto franco nell’area della mostra, nuovi ingressi inclusi.

La prima cosa che salta all’occhio sono due date: Portocittà ha chiesto la sospensione necessaria anche per iniziare i lavori appena il 6 giugno ed a partire dal 20, cioè 12 giorni prima dell’inaugurazione della mostra. Ed il Commissario ha decretato la sospensione il giorno 29, a soli quattro giorni dall’inaugurazione, ma con effetto retroattivo al 20 giugno.

E questo significa che, anche a prescindere dalla dubbia legittimità dell’efficacia retroattiva, gli organizzatori devono aver svolto senza alcuna autorizzazione, cioè illegalmente, tutti i lavori preparatori della mostra e della viabilità che il quotidiano locale ha pubblicizzato nelle settimane e nei giorni precedenti.

La seconda cosa eclatante è che il Commissario dichiara di emettere il decreto «allo scopo di ospitare la 54.a edizione della Biennale d’Arte di Venezia». Ed è motivazione falsa perché, come abbiamo già spiegato, la mostra di Sgarbi è altra cosa: la Biennale non c’entra. Ma per la stima che abbiamo dell’intelligenza e prudenza del Prefetto Commissario in carica dobbiamo ritenere che questa motivazione falsa ed ingannevole sia quella formulata nella richiesta di Portocittà alla quale egli si è trovato a dover rispondere, e che sarebbe per ciò stesso invalida e nulla ab origine.

Dal richiamo della stessa richiesta nel decreto apprendiamo pure che Portocittà aveva preteso una sospensione di ben 24 mesi, cioè due anni. Dunque assolutamente sproporzionata anch’essa ai soli scopi della mostra di Sgarbi. Tanto che il Commissario ha invece limitato prudentemente, anche se impropriamente, la sospensione al periodo di apertura della Biennale, cioè sino a novembre (5 mesi e 10 giorni).

Se andiamo poi ad esaminare la planimetria dell’area interessata scopriamo che è sproporzionata pure quella alla sola mostra, e ad intralcio altrettanto spropozionato al lavoro portuale, con problemi e di sicurezza del porto che altrove non vi sarebbero stati e vengono evidenziati da apposite prescrizioni della Capitaneria.

L’area pretesa ed illegittimamente ottenuta va infatti dai nuovi accessi appositi in Viale Miramare al magazzino 26 includendo altri magazzini, tra i quali il 27 in concessione alla GMT (Genoa Metal Terminal Srl) e due lati su tre del bacino dove opera l’attivissima Adriaterminal, più un corridoio viario sino alla Stazione.

La rilevanza operativa e giuridica del regime internazionale di punto franco, che gli speculatori politici e immobiliari pretendono di poter violare negandone la natura vincolante, risulta invece confermata dalle prescrizioni di tutela fiscale rigidissime che il Commissario impone su richiesta dell’Agenzia delle Dogane ribadita dall’Autorità portuale e dalla Capitaneria di Porto.

Obbligano infatti a delimitare l’area di sospensione del regime extradoganale all’interno del Punto franco con barriere perimetrali continue ed inamovibili alte non meno di 2,5 metri, che se realizzate con container vanno pure sormontate con filo spinato o rete; dove fanno già barriera edifici, se ne devono sigillare tutti gli ingressi; il regime doganale e gli spostamenti delle merci depositate nel magazzino 27, incluso benché operativo, devono essere adeguati sotto vigilanza diretta della Guardia di Finanza.

Ed a tutto questo va aggiunto che – qualsiasi cosa ne possano dire Frattini od altri coinvolti – il Commissario del Governo non risulta avere affatto la potestà di sospendere nemmeno temporaneamente il regime di Punto franco (il decreto stesso non cita alcuna fonte che ve lo autorizzi) eccettuate ovviamente situazioni cogenti e straordinarie di pericolo. Che in questo caso non sussistono. E se suoi predecessori hanno esercitato questo potere senza possederlo, significa soltanto che i loro atti sono nulli o comunque annullabili, non senza aspetti di rilevanza penale.

Si deve infine osservare che questo decreto del Commissario non autorizza espressamente i nuovi varchi stradali (che richiedevano anche autorizzazioni di altri enti). E pone dei termini temporali alla mostra, ma non formula l’ordine, né fissa la scadenza e le modalità, per i ripristini funzionali ed architettonici della cinta doganale violata, dei binari ferroviari asfaltati e di quant’altro provvisoriamente modificato od abbattuto per l’effimera mostra a danno del Porto franco. Né per la rimozione dei container e recinti con cui ne sono stati delimitati e sigillati i percorsi d’accesso interni. E considerare queste operazioni implicite appare insufficiente e foriero di contenziosi e procrastinazioni a tempo indeterminato.

 

Le difese da attivare

A fronte di tutto ciò l’ALI – Associazione Libera Informazione, organizzazione della società civile che edita questo nostro stesso giornale, sta ricevendo conferme e solleciti anche autorevoli sull’opportunità di tempestive denunce penali ed amministrative, e di iniziative adeguate in sede europea.

Spiace sempre, e davvero, dover ricorrere a questi mezzi estremi per rimediare ai danni che la malapolitica dell’illegalità e i malaffari infliggono a questa nostra città ed a questo Paese. Ma se necessario sarà fatto senza esitazioni.

© 4 Luglio 2011

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