La Voce di Trieste

Trieste: la crepa di Piazza Unità, i danni analoghi ed i responsabili

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Breve indagine storico – edilizia

A Trieste la celebre antica Piazza Grande, o dell’Unità, che si apre sul mare affiancata dal suo  pregevole campionario eclettico di palazzi absburgici, ha subìto tempo addietro una rilastricatura  assai discutibile e discussa sia per il kitsch estetico modernista che per la fragilità della nuova pavimentazione.

Confermata ben presto da una lunga crepa imbarazzante che si apre ora ogni due-tre anni sull’asse mediano della piazza malgrado rappezzi costosi quanto effimeri, come quello affannoso che si sta facendo ora per non guastare la presentazione della nuova ammiraglia italiana delle crociere, la Costa Favolosa.

L’imbarazzo è evidente nelle giustificazioni superficiali che gli addetti ai lavori tentano di darne, senza ammettere che è grave e strutturale. Dovuto al fatto che le amministrazioni comunali Illy e Dipiazza, per motivi ancora da spiegare, hanno imposto per le ripavimentazioni delle piazze, rive e vie pedonalizzate del centro storico una soluzione non solo esteticamente pacchiana, ma anche tecnicamente e costosamente inadeguata. Lasciando per questo distruggere o sottrarre un patrimonio di lastricati originari che qualsiasi città ed amministrazione italiana di cultura avrebbe difeso ad ogni costo.

 

Gli assetti e problemi dei suoli

Nel centrocittà di Trieste buona parte della Piazza Grande, come delle rive e del borgo teresiano, è stata ottenuta dal ‘700 a fine ‘800 con interramenti graduali del porto, delle rive e delle saline antichi. Ammassando cioè terra e pietrami su spessi depositi geologici di sedimenti fangosi, accumulati su una prima stratificazione profonda di rocce marnoso-arenacee a flysch che poggia sulla piattaforma calcarea dell’intera regione.

Poiché siamo al livello del mare, e della falda acquifera, il risultato è un suolo eterogeneo fortemente imbevuto d’acqua, tendenzialmente elastico e con risposte statiche discontinue analoghe a quelle di una gelatina: se premi di qua si gonfia di là, e viceversa, sommate alla spinta di galleggiamento dell’acqua stessa.

Le fondamenta degli edifici, che sono prevalentemente sette-ottocenteschi e d’inizi Novecento, non poggiano perciò sulla roccia ma su palificazioni e su cassoni di pietre ingabbiati che ‘galleggiano’ su questo sedime piuttosto elastico, in un equilibrio delicato di pesi e contrappesi tra loro e con le superfici libere lastricate.

Un equilbrio che tende quindi a modificarsi ad ogni spostamento sensibile delle masse, spontaneo od indotto, distribuendone più o meno ampiamente le spinte sull’insieme. E ne bastano modificazioni minime per causare crepe anche vistose e dislocate, soprattuto in edifici come il palazzo della Borsa accanto all’interrato Canal piccolo ed alcuni sul Canale grande teresiano.

 

I lastricati originari a masegno

Le pavimentazioni originarie triestine costuiscono, per peso e caratteristiche, un elemento essenziale di questi equilibri statici consolidati. Erano state infatti realizzate in spesse lastre di arenaria (masegno) di misura uniforme maneggevole, posate su massicciata stradale classica con materiali stratificati di dimensioni decrescenti, dai massi al pietrisco, alla ghiaia ed alla sabbia. Il risultato è una pavimentazione razionale e perfettamente adeguata: stabile, elastica, traspirante l’umidità e capace di reggere carichi elevatissimi.

Anche le manutenzioni erano semplici, rapide ed economiche: per sostituire o riportare a livello una o più lastre bastavano due operai che le sollevavano abilmente una alla volta con delle leve e risistemavano il letto di sabbia sottostante. La durata di questo genere di pavimentazioni è quindi praticamente indefinita, e bene lo si vede nelle città più attente al proprio patrimonio storico ed architettonico.

 

Asfaltature, danneggiamenti e furti

A Trieste invece le amministrazioni comunali imbarbarite prima dal modernismo futurista del fascismo e poi dai mutamenti di popolazione del dopoguerra hanno via via ricoperto le arenarie di strati su strati d’asfalto, e non solo sulle vie di traffico ma anche sulle piazze, inclusa la Grande o dell’Unità. Col risultato di renderne il suolo impermeabile facendo risalire l’umidità capillare dai muri delle case, e di trasformare le superfici un eterno mosaico di buchi e rappezzi, intollerabile sulle piazze e rive.

Tutti gli scavi stradali per la posa di tubature od altro non sono stati inoltre fatti rimuovendo e risistemando le preziose lastre d’arenaria rimaste intatte sotto l’asfalto in attesa di tempi e cultura migliori, ma lasciandole distruggere brutalmente. O rubare a man salva per rivenderle od utilizzarle in ville od altre città. Ben poche sono infatti finite in depositi comunali, e grazie a proteste di cittadini.

La soluzione più ovvia, semplice, corretta ed economica per la riqualificazione almeno di piazze, rive e strade da pedonalizzare a Trieste era dunque quella di togliere l’asfalto scoprendo e ripristinando la pavimentazione originaria con le sue semplici tecniche di manutenzione, e sostituirne le lastre mancanti o spezzate con quelle già in deposito o ricavate da zone sicuramente non soggette a ripristini.

 

Ripavimentazioni urbane da terrazza

Le tre ultime amministrazioni comunali (una di centrosinistra e due di centrodestra) hanno invece stranamente premiato, e con spese attuali e future abnormi, imprese edili che hanno applicato tutt’altro sistema: eliminare le lastre originarie, per lo più recuperandole e utilizzandole in proprio altrove, e sostituirle con lastrine di pietra nuove molto più piccole e sottili, posate su getto di cemento più o meno armato. Inserendo pure nel lastricato disegni a cornice più chiari, di fantasìa ed a turbativa assurda delle prospettive.

Ma questa, a prescindere dello sfregio estetico dei luoghi, è una tecnica da terrazze o da vialetti ed aie di villa, non da superfici pubbliche urbane ed ancor meno su sedimi difficili come questo triestino particolare. Il risultato è infatti una pavimentazione impermeabilizzata e non traspirante, che come l’asfaltatura aumenta perciò l’umidità nelle case adiacenti, e così fragile da non sopportare nemmeno il carico di autobus e camion di media portata. Per i quali adesso è necessario sovrapporre al lastricato nuovo pavimentazioni provvisorie in legno orrende e dispendiose.

 

La crepa di Piazza Grande

La forte riduzione del contrappeso delle vecchie lastre di masegno converte inoltre parte del peso degli edifici circostanti, la stessa elasticità del sedime e la pressione dell’acqua di falda in una spinta verso l’alto della sede stradale meno compressa. Che tenderà perciò a sollevarsi ‘facendo pancia’ al centro, e tanto più energicamente quanto più ampia è la superficie scaricata di peso.

Proprio come sta accadendo alla nostra Piazza Grande, o dell’Unità, dove il sollevamento con crepatura e dislocazione del lastricato si presenta su due terzi della piazza verso mare che corrispondono agli interramenti del bacino portuale antico (mandracchio) e di un primo tratto delle rive, ed alle spinte laterali maggiori dei palazzi del Lloyd Austriaco (poi Triestino, ora della Regione) e della Luogotenenza imperiale (attuale Prefettura).

La crepa rivelatrice nella piazza-simbolo di Trieste diventa così anche metafora di tutte quelle che segnano la facciata politica ed amministrativa ufficiale imposta a questa città per coprirvi una congerie abnorme di malaffari e di manipolazioni deteriori: materiali, culturali e persino di memoria storica.

 

Perseveranza colpevole

Ma i nostri passati amministratori comunali hanno continuato stranamente ad imporre dappertutto  le “riqualificazioni” con distruzione dei masegni e lastricati nuovi da terrazzo (che in piazza Giuseppina, o Venezia, non reggono più il capolinea del bus n. 10, perciò spostato di un chilometro) elargendo come al solito somme enormi a sproposito in lavori, progetti e consulenze di grido.

E perseverando colpevolmente addirittura nel commissionare, avallare, propagandare e pagare progetti di parcheggi sotterranei ? ma subacquei rispetto a mare e falda ? sulle rive o nel borgo teresiano. Come se né loro né i progettisti conoscessero i problemi di quei suoli, e del costruire praticamente in acqua.

Mentre l’assurdità dannosa, pratica ed economica, di tutte queste operazioni era e rimane evidente a qualsiasi maestro muratore di normale scienza e coscienza. Categoria essenziale, questa, evidentemente esclusa sia con Illy, sia col Dipiazza, dalle corti spurie di tecnici e professionisti amici e commensali del sindaco.

Che dovrebbero essere ora chiamati tutti a rispondere di questi e molti altri danni economici e culturali alla città. Sperando pure che tutto questo non riaccada con l’appena festeggiato sindaco nuovo, Cosolini.

P.G.P.

© 24 Giugno 2011

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