La Voce di Trieste

Sull’intervento militare in Libia

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Commento

L’intervento militare europeo ed internazionale in appoggio alla rivoluzione antidittatoriale in Libia non è problema da poco, perché ci coinvolge necessariamente tutti, con rischi che potrebbero essere molto maggiori e più diretti che per quello nell’ex Jugoslavia, e pure di quelli delle nostre aggressioni assurde ad Afghanistan ed Iraq.

Al di là degli entusiasmi bellico-nostalgici demenziali di alcuni, si leggono perciò anche preoccupazioni e critiche sensate, in particolare da sinistra. In sostanza evidenziano rischi, precedenti e contraddizioni effettive di una politica occidentale dove si proclama ed appoggia giustamente la tutela dei diritti umani ma solo in assenza di interessi materiali contrari, si spacciano per interventi di pace le proprie guerre, giuste o meno che siano, e Roma continua a distinguersi per inaffidabilità e sudditanze.

Tutto vero, anche se si tratta dell’eterno, irrisolto conflitto etico tra gli ideali e le necessità pratiche e strategiche delle collettività, se il fatto di non soccorrere altre vittime non autorizza  l’abbandono anche di queste, e se i ragionamenti di alcuni rientrano nella vecchia battuta del voler avere la frittata senza dover rompere le uova. Ma nel concreto della situazione libica attuale le cose hanno anche aspetti nuovi e differenti.

In sostanza, nei Paesi arabi del Mediterraneo le popolazioni si stanno rivoltando spontaneamente, per necessità e fatti evidenti (leggi qui la nostra analisi precedente), contro sistemi di governo dittatoriale. Che oltre ad essere antidemocratici, non nascono dalla loro cultura e tradizione, ma da modernizzazioni politiche introdotte dai metodi ed interessi del vetero- e neo-colonialismo europeo. Che ha perciò sfruttato queste dittature appoggiandole o tollerandole sino a ieri.

In Tunisia ed Egitto il rivolgimento è avvenuto senza una guerra civile perché i loro dittatori erano dei malfattori, ma non degli squilibrati con una corte di fanatici. A differenza di quello libico, che ha scatenato perciò contro il suo popolo una repressione non solo sanguinaria e criminale ma anche folle ed inutile, perché gli potrebbe restituire un controllo solo momentaneo del Paese: il suo tempo è comunque terminato.

Questo significa che i deboli cacciati e massacrati ancora oggi sotto i nostri occhi perché difendono una causa legittima sono anche i vincitori certi di un domani che può aprire, se verranno coltivate, possibilità di pace e sviluppo tra Nordafrica, Medio Oriente e Mediterraneo prima inimmaginabili e sinora paralizzate dai noti, vecchi assetti, conflitti e terrorismi incrociati.

Ma se l’Occidente dal quale quegli innovatori rivoluzionari spontanei si attendono appoggio efficace li deluderà, loro o le loro popolazioni gli diverranno ostili. Trasformando le nuove aperture in  chiusure, con proiezioni di rischio nuove, gravi ed incalcolabili non solo per l’Europa ma anche per gli equilibri politici ed economici planetari.

Questo è esattamente il fattore d’interesse pratico e strategico globale che ha fatto la differenza con altre situazioni oppressive, consentendo l’intervento internazionale con l’astensione, in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di Paesi che avrebbero potuto impedirlo esercitando il loro diritto di veto. A questo punto possiamo perciò solo sperare in soluzioni quanto più rapide, e che non richiedano l’invasione del territorio libico con forze di terra, già rifiutata dagli insorti.

Tutto il resto del chiasso politico e mediatico attorno al problema è solo confusione e spettacolo. Tanto più scadente, come purtoppo al solito, in Italia.

P.G.P.

© 20 Marzo 2011

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