La Voce di Trieste

Equilibri di fede

di

“La fede consiste nel credere non ciò che sembra vero, ma ciò che sembra falso al nostro intelletto”. François-Marie Arouet (Voltaire) 1694-1778

La parola latina “fides” viene tradotta sia con fede sia con fiducia, apparentemente sinonimi nella lingua italiana. La differenza è però fondamentale se consideriamo il loro significato odierno. A fede vengono solitamente attribuite qualità assolute riguardo alla sua presenza (c’è o non c’è), all’intensità (sempre massima), alla durata nel tempo (illimitata); la fiducia può essere parziale, modificabile e momentanea. La fede, inoltre, ha genesi differente dalla fiducia provenendo da aperture prelogiche non soggette a restrizioni razionali applicate invece nei confronti di quest’ultima.  Nella massima tensione a valorizzare il rapporto uomo-mondo, la ragione può abdicare alla linea retta del pensiero concreto e trascendere nella metamorfosi della fede, continuando a espandersi nell’iperbole rarefatta del pensiero irrazionale.
Se il vecchio adagio “La fede muove le montagne” è vero, il suo contrario è altrettanto certo: le blocca.
La strada che da Yangon (ex capitale del Myanmar – Birmania) porta a Bago e di qui a Kyaito (70 km.) inizia con una carreggiata  a quattro corsie; dopo pochi chilometri si restringe a due; poi ad una ed infine a mezza;  solo il centro della sede stradale è asfaltato e gli autisti sono costretti a marciare, quando sopravvengono altri veicoli o effettuano un sorpasso, con due ruote sullo sterrato. Chi affitta un auto, obbligatoriamente con guidatore, si trova seduto a sinistra, all’inglese. Nulla di male se non fosse che la guida è a destra e il conducente che supera, perciò, non vede nulla: o si butta alla cieca o, basandosi sullo sguardo atterrito del disgraziato che gli siede accanto, rinuncia alla manovra.
Il villaggio di Kyaito non ha alcun pregio, né risorsa tranne quello di essere il punto di partenza verso la Montagna d’Oro (il monte Kyaikhtiyo, alto 1102 metri). Un piazzale, circondato da casupole con cibi, pezze e ricordini, ospita la “corriera” destinata a raggiungere un altro spiazzo alla base del viottolo che conduce al tempio buddista. La “corriera” è un camion con pianale con delle assi di 20 centimetri poste di traverso; sono i sedili e fra di loro c’è spazio appena sufficiente per infilare le gambe. L’autocarro parte quando è pieno, non solo all’interno, ma anche ai lati e sopra la cabina di pilotaggio. Si muove lentamente per poi prendere l’abbrivio in discesa; i grappoli di persone appese fuori sono frustati da canne e rami sporgenti che fiancheggiano la stradina; qualcuno salta a terra durante la salita, qualche altro, in corsa, si attacca a prominenze umane o meccaniche.
L’ultimo tratto è un viottolo in forte pendenza, da percorrere a piedi o, volendo, su una lettiga con quattro portatori. I pedoni ansimano, i portatori sbuffano (e sputano) ancora di più. I botteghini ai bordi offrono bevande, amuleti, medicamenti a base di zampe di animali, serpenti, aculei di istrice. Al termine della mulattiera gli alberi diradano e un vialetto pianeggiante, lungo tutta la cresta, conduce al complesso templare. Pochi gradini e si accede a un vasto piazzale, lastricato di marmi e piastrelle policrome. Gli edifici sacri non sono granché ma il luogo offre una vista spettacolare sulle vallate circostanti ricoperte di boschi. L’attrazione principale, meta di pellegrinaggio, è un masso rotondeggiante alto sei metri e mezzo completamente ricoperto da foglie d’oro (da cui il nome del sito), in bilico su una roccia aggettante sul vuoto. La leggenda vuole che il macigno sia trattenuto da un capello del Buddha. I fedeli (solo maschi) hanno l’onere e l’onore, a rischio della pelle, di attaccare ulteriori foglietti aurei nei punti scoperti per mantenere la superficie del blocco di pietra sempre sfavillante.
Un’atmosfera di quiete circonda il santuario; chi mangia, chi prega, chi gioca, chi accende bastoncini d’incenso. La vita di un giorno si trasferisce nei pressi di un prodigio naturale, traccia evidente del soprannaturale che, come avevano immaginato prudentemente i latini, dà cenno di sé in fenomeni inconsueti alimentando una fides, ingenua e priva di dogmi, che sostiene la speranza e stempera il timore.

In foto: la Montagna d’Oro

© 25 Gennaio 2011

Galleria fotografica

La locandina

Sfoglia online l’edizione cartacea

Accedi | Designed by Picchio Productions
Copyright © 2012 La Voce di Trieste. Tutti i diritti riservati
Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Trieste - n.1232, 18.1.2011
Pubblicato dall'Associazione Culturale ALI "Associazione Libera Informazione" TRIESTE C.F. 90130590327 - P.I. 01198220327
Direttore Responsabile: Paolo G. Parovel
34121 Trieste, Piazza della Borsa 7 c/o Trieste Libera
La riproduzione di ogni articolo è consentita solo riportando la dicitura "Tratto da La Voce di Trieste"