La Voce di Trieste

Porto Vecchio: riciclaggio immobiliare illegittimo

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Claudio Boniciolli ha dunque concluso questo suo mandato alla presidenza dell’Autorità portuale di Trieste nel modo peggiore: firmando la contestata concessione illegale per 70 anni dei 70 ettari del nostro Porto Vecchio, che è zona franca internazionale, alle speculazioni immobiliari e ad altre attività incompatibili. Operazione che consiste perciò, in sostanza, nell’espropriazione alla città e nel tentato riciclaggio immobiliare di un suo bene produttivo primario e vincolato.

La concessionaria del riciclaggio immobiliare, per un canone ridotto a 4.394.682 euro l’anno, è la “Portocittà s.r.l.”, società a responsabilità limitata (con i problemi conseguenti) formata apposta da un potente gruppo veneto-friulano di costruttori ed altri: Impresa di Costruzioni Giuseppe Maltauro Spa, Impresa Generale di Costruzioni Rizzani De Eccher Spa, Sinloc – Sistema Iniziative Locali Spa e Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo Spa (Gruppo Intesa Sanpaolo). Con amministratore delegato Enrico Maltauro, che si è profuso in lodi sul ruolo decisivo di Boniciolli.
Boniciolli risulta infatti aver forzato la firma della concessione in pendenza di ricorsi con richieste di danni, dopo averne ritardata un’udienza processuale rifiutando la consegna doverosa di documenti ed a pochi
giorni dalla scadenza del suo incarico, appena gli è arrivato l’assenso illegittimo del Sovrintendente Bilardi, anche lui agli ultimi giorni di mandato. È il vecchio espediente di scaricare la responsabilità di atti contestati su funzionari che cessano dalla carica subito dopo averli compiuti, e non sono personalmente solvibili per il pagamento di danni ingenti.
La firma è stata inoltre apposta alla svelta e in sordina, tentando di mettere tutti di fronte al fatto compiuto prima che la nostra campagna stampa d’allarme possa svegliare la città addormentata con l’uso anestetico del quotidiano di potere locale.
Le due parti contrattuali e tutti gli amministratori pubblici autorizzatori o avallanti sanno infatti perfettamente che la concessione è illegittima ed illecita perché l’area è vincolata all’uso esclusivo di porto franco internazionale da norme speciali di diritto appunto internazionale, che devono essere eseguite e non possono venir modificate dall’Autorità Portuale né da altre autorità locali e nazionali.
Per coprire l’illegittimità radicale  dell’operazione è stato perciò escogitato un concetto ambiguo di “portualità allargata” che consentirebbe di inserire nell’area anche attività diverse dalla destinazione principale a porto franco.
Ma allargarla significa aggiungervi attività accessorie, e non sostitutive. Come fa invece questa concessione concretando quindi una frode colossale, preparata e coperta accuratamente con anni di disinformazioni e silenzi stampa proprio sulla funzione, i vincoli ed il valore di porto franco dell’area che così ci verrebbero letteralmente rapinati.
E questa copertura disinformativa è culminata ora visibilmente nelle autocelebrazioni pubbliche con cui Boniciolli ed i politici corresponsabili di destra e sinistra (in prima fila Tondo, Dipiazza, Bassa Poropat, Nesladek) hanno presentato la frode di riciclaggio immobiliare come un affare ed un successo storici. Con impudenze declaratorie tali da rendere addirittura difficile distinguere tra loro chi non ha nemmeno
capito quello che è successo, e chi invece lo sa benissimo. Quanto ai sindacati, sembrano tutti succubi o svaniti.
Mentre il fatto che il nostro settimanale sia sinora il solo a produrre denunce, inchieste ed analisi chiare su questi scandali dà la misura esatta del grado di condizionamento dei media locali.

La realtà dei fatti
Abbiamo già ricordato e documentato (si vedano, anche in rete, i nostri numeri dal 18 al 26) che il cosiddetto Porto Vecchio – in realtà contemporaneo del Porto Nuovo perché vennero costruiti ambedue prima del 1918 dall’Austria, che aveva già progettato anche il molo settimo e la circonvallazione ferroviaria – non è affatto un’area portuale inutilizzabile e qualsiasi da “recuperare” come spazio urbano. è invece la nostra principale risorsa inutilizzata di pane e lavoro per tutti: 70 ettari liberi di zona franca internazionale per il deposito e la lavorazione extraterritoriale delle merci in esenzione fiscale, con magazzini, spazi edificabili, banchine, moli, fondali da 15 metri e scalo ferroviario ad innesto diretto sulle linee (che manca invece al Porto Nuovo, adatto al traffico dei container).
E questo “Porto Vecchio” si trova in abbandono non perché superato, ma per una politica delinquenziale di voluta paralisi dello sviluppo del Porto Franco internazionale di Trieste. Attuata qui apposta da trent’anni
facendo cessare o trasferire le attività che vi operavano in regime di zona franca, omettendo le manutenzioni ordinarie degli edifici per renderli inagibili, disattivando le connessioni dello scalo ferroviario e scaricando addirittura detriti dai moli per ridurre i fondali (ora in più punti a 13 metri).
In questo modo tutto un sistema di parassiti politici che si è autoriprodotto al governo della città e del porto ci ha rubato sistematicamente per decenni un numero enorme di posti di lavoro, diretto ed indotto, col porto. Approfittando del fatto che venivano in parte compensati dall’emigrazione, da sussidi di Stato e dal commercio-contrabbando al minuto con l’allora Jugoslavia. Cessati i quali la disoccupazione e la povertà hanno incominciato ad esplodere in maniera sempre più drammatica e senza prospettive.
Ma da qualche anno gli allargamenti dell’Unione Europea, i nuovi equilibri produttivi globali e lo sviluppo mondiale delle zone franche, vecchie e nuove, hanno creato le condizioni per poter riattivare questa nostra zona franca ancora libera. Creando tanto lavoro e sviluppo da spazzar via anche quei parassiti politici che governano solo sul degrado.
Eccoli allora tentare il colpo finale: la concessione per 70 anni, cioè definitiva, di quei nostri spazi produttivi liberi di zona franca portuale alla speculazione immobiliare e per usi ordinari, promettendo posti di lavoro, ma in numero proporzionalmente irrisorio ed in maggioranza per manodopera forestiera.
Per Trieste significa barattare una fonte primaria di possibile lavoro stabile per tutti con profitti e lavoro per pochi: un suicidio economico folle, impossibile in qualsiasi altro porto e città in Italia, in Europa e nel mondo, dove creerebbe immediate sollevazioni di popolo, sindacati, imprenditori e stampa.
Mentre qui Boniciolli ha potuto addirittura offendere pubblicamente e sui media gli oppositori, noi inclusi, come autori di “dibattiti dell’assurdo e dell’ignoranza”, Maltauro dichiarare tranquillamente la “ricollocazione” del Porto Vecchio sul mercato immobiliare, ed il presidente della problematica Confindustria locale, Razeto, annunciare soddisfatto il resto del programma di dequalificazione definitiva del porto di Trieste: rigassificatore di Gas atural, centrale termoelettrica Lucchini, fusione con Monfalcone secondo il progetto Unicredit.
Dal punto di vista investigativo, inoltre, uno degli aspetti più sorprendenti del caso è che negli atti relativi alla concessione che abbiamo potuto esaminare risulta incredibilmente omessa qualsiasi menzione dei vincoli internazionali di zona franca dell’area, e si parla solo di quelli architettonici.
Nella deliberazione finale del Comitato Portuale (21.9.2010) sulla concessione risultano inoltre contrari, astenuti od assenti i rappresentanti delle categorie economiche principali del porto: armatori, agenti e raccomandatari marittimi, imprenditori, lavoratori delle imprese portuali, autotrasportatori e Camera di commercio. Ed appare significativo che sia invece passata con i voti politici dei rappresentanti degli enti locali (regione, provincia, comuni di Trieste e Muggia) e dei Ministeri (Infrastrutture e Trasporti, Finanze), più quello ovvio dei dipendenti dell’Autorità Portuale proponente, del rappresentante degli industriali (che sembrano non volere concorrenti in zona franca) e di quello degli spedizionieri (falcidiati dall’apertura dei confini col retroterra).
Ma non perderemo ora tempo ad indagare noi – esistono pur sempre le Procure – o recriminare sui motivi per cui Boniciolli e chi altro hanno forzato la concessione, né sui possibili retroscena dell’intero affare. Perché di fronte ad una minaccia economica e sociale così grave per Trieste occorre piuttosto concentrare le energìe della società civile sui fatti, per le difese di contrattacco. Che si devono avviare rapidamente su due linee operative principali: giuridica e politica.

La linea di difesa giuridica
La difesa giuridica consiste nell’avviare le azioni più efficaci per ottenere l’annullamento formale della concessione bloccandone i danni incombenti e chiamando a risponderne i responsabili.
Che non sono, a guardar bene, le imprese di varia influenza che vogliono approfittare dell’occasione speculativa: è il loro mestiere.
A parte eventuali responsabilità per aver tentato l’acquisizione di un bene pubblico notoriamente non cedibile a quegli scopi.
I veri colpevoli sono coloro che avendo il mandato, pure strapagati, di amministrare un bene pubblico vincolato per legge ad una destinazione esclusiva lo cedono invece a speculazioni per scopi diversi, più tutti gli altri amministratori pubblici che avendo il dovere e la possibilità di impedire l’illecito lo consentono o favoriscono. Con responsabilità amministrative, civili e penali di gravità proporzionale ai loro ruoli ed al danno pubblico arrecato o minacciato, che qui consiste nella perdita passata, attuale e futura di innumerevoli attività economiche e posti di lavoro.
È inoltre pacifico che i soggetti legittimati ad opporvisi sono i proprietari ed i titolari giuridici dell’uso del bene, nonché i loro rappresentanti e tutori istituzionali.
In questo caso il bene è costituito dal Porto Franco internazionale di Trieste ovvero dalla sua integrità, vincolati e protetti dal Trattato di Pace del 1947 e dagli atti normativi nazionali ed internazionali conseguenti.
Ed i soggetti legittimati a difenderlo, disgiuntamente o congiuntamente, sono:

  • gli appartenenti, singoli o consociati, ad una collettività locale che include i cittadini originari ed acquisiti dei territori ora italiani, sloveni e croati dell’ex Territorio Libero di Trieste (dal Timavo al Quieto-Mirna);
  • i loro governi (italiano, sloveno, croato) come tali;
  • i governi di tutti i Paesi firmatari del Trattato di Pace e degli Stati loro successori (inclusi i tre predetti);
  • l’Organo tutorio internazionale designato dal Trattato, che è il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite;
  • gli Organi comunitari europei di garanzia del diritto internazionale ed interno.

Le iniziative da assumere a vari livelli, oltre ai ricorsi in atto, sono già allo studio e promettono risultati concreti.

La linea di difesa politica
La difesa politica consiste invece nel cominciare a liberare la nostra città da una classe di potere che continua ormai da mezzo secolo a svenderla al miglior offerente, e nel modo peggiore.
Molti dei suoi esponenti, con singole eccezioni, sono evidentemente incapaci, altri irresponsabili ed alcuni corruttibili o corrotti.
Come un po’ dappertutto, ma assai più che altrove, e lo dimostrano i risultati del degrado che costoro hanno prodotto e che, in circolo vizioso, costituisce il loro stesso ambiente di sopravvivenza.
Il loro scandaloso unanimismo, da destra a sinistra, in questa frode sul Porto Vecchio, come nelle coperture del noto ‘scandalo Dipiazza’ più recente, e di tutto il malaffare degli appalti ed immobiliare di questi decenni, dimostra inoltre che dietro le etichette di diverso colore politico siamo in realtà di fronte ad un “sistema” trasversale che è strutturalmente non dissimile da quelli  più noti perché malavitosi di altre regioni d’Italia. E nel quale quei politici sono solo strumenti, per lo più inconsapevoli, di ben altri gruppi di interesse non ideologico ma venale, e nemmeno produttivo, ma parassitico.
La differenza del “sistema” locale rispetto a quelli malavitosi d’altrove sta nel fatto che questo opera con iniziative d’apparenza legittima potendo contare sulla copertura quasi costante delle illegalità effettive sia a livello di stampa controllata che di impunità giudiziaria finale.
Durante la guerra fredda quest’isola triestina di “distrazione” istituzionale apparente poteva essere giustificata con ragioni di Stato variamente credibili nella gestione di una zona di confine delicata, dove si doveva poter contare su poteri locali fedeli anche compensandoli con vario genere di impunità sul saccheggio delle risorse cittadine. Ed i nostri servizi ne sanno più di qualcosa.
Ma siamo nel 2010, quei presupposti sono cessati ormai da vent’anni, e le istituzioni ufficiali e riservate dello Stato dovrebbero essere le prime a por fine a questo genere di “sistema”, incoraggiando anche tutte le forme d’indignazione e ibellione civile contro di esso.
In attesa che provvedano, magari con governi più dignitosi e lungimiranti, l’iniziativa spetta comunque al coraggio ed all’intelligenza di noi cittadini, con le armi democratiche dell’informazione, della discussione e del voto.

Questo significa smetterla con le lamentazioni rassegnate, incominciare a distinguere tra informazione indipendente o meno, e badare bene, per prima cosa, a non rieleggere nessuno dei responsabili attivi o passivi di queste vicende, indirizzando piuttosto i nostri consensi a forze e persone nuove che dimostrino onestà e chiarezza d’idee, sia a destra che al centro od a sinistra, o fuori dagli schieramenti tradizionali.
Si può fare, credeteci, ed è il solo modo per riacquistare tutti assieme dignità civica ponendo fine ad una spirale politica locale di inettitudini, ipocrisie, malgoverno e malaffare che è così evidentemente rovinosa per Trieste, ed ormai intollerabile.

© 4 Dicembre 2010

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