La Voce di Trieste

Porto e disoccupazione: perché non riattivare subito il sistema dei Magazzini Generali nel Porto Vecchio?

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Abbiamo già rinforzato l’allarme sulla necessità di fermare col dissenso popolare e con azioni legali l’operazione demente e sospetta che tra un paio di mesi ci priverebbe per sempre delle possibilità di rilancio a medio termine dell’intera zona franca portuale, regalando concessioni illegittime alla speculazione edilizia ed immobiliare  i 70 preziosi ettari vuoti Porto Vecchio in regime di Punto Franco.

Ma va detto che questa cessione ci toglierebbe anche alcune possibilità di lavoro semplici e quasi immediate,  che inoltre costerebbero assai poco rispetto ai grandi progetti fantasma più o meno irrealistici ed insostenibili propagandati da chi ci malgoverna. E legati a tempi lunghissimi o indeterminati, che la massa crescente dei nostri lavoratori sottopagati e disoccupati al limite della sopravvivenzanon può certo permettersi di aspettare.
Tra queste possibilità immediate c‘è infatti quella (incomprensibilmente “dimenticata” da partiti, sindacati, commercianti, industriali…) di incominciare subito col ridare vita al microsistema semplice ed autoalimentante degli storici ex Magazzini Generali del Porto Franco, dislocati prevalentemente proprio nel Porto Vecchio, dove gli edifici liberi certo non mancano.
Che hanno operato sino alla metà circa degli anni settanta, quando vennero liquidati e soppressi soltanto per disamministrazioni politiche mosse, va detto chiaro, da interessi concorrenziali di altri porti italiani.
Nulla lo vieta, e per riavviarli basta associare agli investimenti modesti un’offerta rapida e bene organizzata agli operatori italiani ed internazionali.
Ambedue le categorie si servivano infatti dei nostri Magazzini Generali per il deposito in franchigia di merci alla rinfusa e quant’altro, con i vantaggi straordinari del nostro Porto Franco. I quali consentono sia di trattare, rivendere e lavorare le merci in zona franca – cioè come su territorio estero, e più precisamente internazionale, come stabilito con appositi strumenti dalle Nazioni Unite col Trattato di Pace del 1947 – sia un forte posticipo del versamento dei diritti doganali per le merci che entrano definitivamente nel territorio nazionale italiano.
E questo permette al commerciante di smobilizzare i capitali investiti chiedendo alle banche locali anticipi su fatture per le frazioni di merce in deposito che risultino vendute, anticipi su note di pegno, su altri documenti attestanti proprietà, qualità e altre caratteristiche della merce viaggiante su navi in arrivo, e quant’altro.
Quest’attività aveva sempre dato perciò lavoro stabile (persino nei tempi difficili della seconda guerra mondiale) ad un numero molto elevato di persone nei ruoli e con le qualifiche più vari, che andavano dal carico e scarico da e su navi, camion e vagoni allo stivaggio, alle valutazioni merceologiche e chimiche, alle contabilità ed agli altri lavori d’impresa e d’ufficio, alle attività doganali, all’assistenza legale ed assicurrativa, alla vigilanza , alle pulizie ed alle forniture varie di beni e servizi.
Occupando così molte più persone di tante attività industriali discusse perché gravemente logoranti ed inquinanti come la vecchia Ferriera di Servola.
Con un po’ più di intelligenza, buon senso e buona volontà potrebbero anche occuparle di nuovo, e molto presto, togliendo dalla disperazione tantissimi nostri lavoratori giovani ed anziani, specializzati e generici, e le loro famiglie.

© 16 Ottobre 2010

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