La Voce di Trieste

Caso Trieste Libera: perché il Piccolo tenta di salvare il pm Frezza accusando la Polizia?

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Questa domanda vi sembra scandalosa? Aspettate di aver letto la risposta, cioè la ricostruzione dello scandalo giudiziario e stampa cui si riferisce. Se poi qualcuno dei coinvolti vorrà querelare si accomodi, e dimostreremo tutti i fatti narrati.

Avrete sicuramente visto serie intere di telefilm sulla classica piccola città parassitata da reti trasversali corrotte di imprenditori, politici e funzionari che penetrano anche le strutture giudiziarie locali e controllano l’unico quotidiano della città, mantenendo così una falsa immagine di normalità. Dietro la quale i loro affari possono continuare coperti ed impuniti, finché la gente indignata si ribella, e loro escono allo scoperto per reprimerla.

Reti di corruzione a Trieste

Ma forse non avete mai pensato che stavate vedendo quello che accade anche a Trieste. Dove decenni di strapotere corrotto analogo hanno generato infine una rivolta civile crescente che rivendica i diritti politici ed economici del Territorio Libero violati dal Governo amministratore provvisorio italiano. Che però non ha ancora reagito né bene né male, preso com’è in problemi ben maggiori.

Chi ha reagito sono le reti di corruzione locali che governano e parassitano la città grazie a quelle violazioni. Mentre il ripristino della legalità (anche nella semplice forma di amministrazione fiduciaria del Governo italiano) le fermerebbe e punirebbe come meritano. E non solo nelle corruzioni ordinarie, ma anche nelle spoliazioni del porto franco internazionale di Trieste che stanno tentando d’intesa con interessi di grossi porti italiani concorrenti, e non senza tracce di mafie.

Obiettivi, protagonisti, impunità

La Voce ha già analizzato, dimostrato e persino denunciato alla magistratura (sotto mia personale responsabilità) sia queste manovre nei loro obiettivi e protagonisti pubblici, sia le impunità giudiziarie anomale di costoro.

Gli obiettivi sono il soffocamento dei traffici e del regime di porto franco a Trieste ed il loro spostamento su quei porti italiani. E i protagonisti pubblici formano un gruppo trasversale di politici, con rincalzi esterni eterogenei, che va dal Pd e satelliti (in prima fila Cosolini, Rosato e Boniciolli, più ora Serracchiani) a settori del Pdl e accessori (in prima fila Dipiazza, Menia ed Antonione). Appoggiati dal Piccolo (industriali veneti e Pd, direttore Possamai) con campagne di propaganda, disinformazione e diffamazione, parzialmente replicate in sloveno dal subordinato Primorski dnevnik.

Tra le impunità giudiziarie vi sono, ad esempio, le inerzie totali della Procura sulle violazioni del Porto Franco, i suoi silenzi su denunce rilevanti contro il Dipiazza, e la sentenza TAR che abbiamo analizzato e denunciato sul corrente n. 29 della Voce. Anche qui vi sono naturalmente magistrati irreprensibili, ma il fatto che nelle procedure giudiziarie a Trieste accadano anche gravi abusi è notorio e documentato.

Vi sono perciò pochi dubbi possibili che siamo di fronte ad un apparato locale particolare, esteso, coperto ed impunito di corruzioni dolose o colpose dentro e fuori le istituzioni.

Diffamazione, provocazione ed intimidazione

I membri e beneficiari di quest’apparato hanno dunque ben ragione di essere spaventati dalla crescita di Trieste Libera, ma non possono opporre nulla di serio alle sue tesi giuridiche, che sono ineccepibili e perfettamente riconfermabili nelle sedi internazionali.

Costoro si sono perciò organizzati per attaccare il movimento con campagne coordinate di diffamazione, provocazione ed intimidazione, in particolare attraverso il Piccolo e sue sinergìe anomale, e già denunciate, con la Procura nella pubblicazione e nell’uso strumentale di notizie su indagini in corso di cui titolare il pm ed ora facente funzioni di procuratore capo Federico Frezza.

La campagna diffamatoria

La campagna diffamatoria contro Trieste Libera è stata avviata a tappeto utilizzando l’apparato italiano e sloveno del Pd, il Piccolo, il Primorski dnevnik e parlamentari coperti dalla relativa immunità. Consiste nell’affermare od insinuare che Trieste Libera sia finanziata da Giulio Camber o da interessi occulti, anche esteri, e nel pretendere che vengano indagati e pubblicati i suoi bilanci.

Sono accuse e richieste paradossali, dato che vengono dai partiti italiani nutriti di corruzioni, tangenti, ruberìe sistematiche e finanziamenti pubblici, contro un movimento locale spontaneo che si autofinanzia con quasi 3000 iscritti in crescita continua, manifestazioni da oltre 2000 persone, decine di migliaia di firme raccolte e feste da 30.000 partecipanti, più i contributi degli emigrati triestini nel mondo.

Le provocazioni

Le provocazioni sono invece incominciate da parte di alcuni magistrati e funzionari che a fronte di legittime eccezioni per il riconoscimento dello status giuridico di amministrazione fiduciaria italiana, e non sovranità, hanno incominciato a respingerle sempre più arrogantemente, senza motivazione o con motivazioni grossolanamente infondate e pure difformi tra loro.

L’unico magistrato che ne ha iniziata regolare valutazione istruttoria è stato trasferito, e su questo caso il comportamento di un altro magistrato ha causato giovedì 18 luglio alcune proteste in aula nei confronti suoi e del Tribunale (v. La Voce n. 29, pag. 4). Che sono state immediatamente sfruttate per scatenare contro l’intero movimento Trieste Libera una campagna intimidatoria degna d’altri tempi e regimi.

Ma proprio questa campagna ha fatto emergere connessioni di aspetto politico tra ambienti giudiziari e quotidiano locale. Ve ne diamo qui la ricostruzione dagli elementi d’analisi in nostro possesso.

L’intimidazione giudiziaria e stampa

L’azione intimidatoria è incominciata immediatamente con dichiarazioni al Piccolo del Presidente della Sezione Penale Filippo Gullotta, che ha criminalizzato violentemente Trieste Libera chiedendo indagini della Procura. Mentre è notorio (art. 11 del codice di procedura penale) che, trattandosi di fatti riguardanti magistrati di Trieste, le indagini spettano alla Procura di Bologna. Il giornale ha pubblicato le due dichiarazioni col massimo rilievo venerdì 19 luglio, a pagina 22.

Martedì 23 luglio mattina un giornalista del Piccolo chiede provocatoriamente un’intervista a Trieste Libera informando che il pm e ff di Procuratore, Frezza, ha aperto le indagini e ordinato alla Digos di acquisire o sequestrare in giornata gli elenchi di tutti i soci del movimento. Il giornalista non spiega come sia al corrente di queste notizie segrete delle indagini e ne voglia pure scrivere (l’intervista uscirà il giorno dopo: travisata, scorretta nei toni ostili e nella forzatura delle domande).

Alle 13.30 Trieste Libera, essendo l’acquisizione dell’elenco degli associati un provvedimento invasivo delle libertà democratiche, non motivato e di palese valenza intimidatoria contro l’intero movimento e tutti i suoi membri, diffida e denuncia preliminarmente il pm Frezza per violazione dell’art. 11 c.p.p., trasmettendo l’atto a tutte le sedi istituzionali coinvolte ed alla stampa italiana e slovena (successivamente anche alle autorità di garanzia internazionali).

Verso le 15 Il Piccolo scatena la campagna stampa pubblicando in rete la notizia seguente:

«LA DIGOS ACQUISISCE LO STATUTO E LA LISTA DEGLI ISCRITTI DI TRIESTE LIBERA – Dopo la contestazione inscenata dai militanti di Trieste Libera nel corso dell’udienza di giovedì scorso in tribunale in cui si sarebbe dovuta esaminare l’eccezione di “difetto di giurisdizione italiana su Trieste”, la Digos è stata incaricata di acquisire lo Statuto del movimento e la lista degli iscritti a Trieste Libera entro oggi. Si tratta per ora di una semplice indagine conoscitiva e non risultano, allo stato, ipotesi di reato. Ampi approfondimenti sul giornale in edicola mercoledì 24 luglio

Su tali informazioni e convinzioni Il Piccolo ha impostato nel pomeriggio anche gli approfondimenti annunciati per l’edizione a stampa del 24 luglio, dandovi per avvenuta l’acquisizione degli elenchi dei soci, e ha passato così la notizia al subordinato Primorski dnevnik.

Poiché l’acquisizione degli elenchi non è invece avvenuta, appare chiaro che il quotidiano non ha attinto la notizia dalla Digos, che l’avrebbe smentita, ma da fonte della Procura, e così autorevole da non avere motivo di dubitare, e dunque di controllare, che la Digos avesse eseguito l’ordine del pm.

In serata Il Piccolo ha però ricevuto sia smentite istituzionali, sia la denuncia di Trieste Libera contro il pm Frezza, e così ha modificato i propri testi originari come si vedrà più sotto. Ma non ha avvisato di questa modifica il Primorski dnevnik.

Il 24 luglio il Primorski dnevnik è uscito perciò con le notizie originarie che gli aveva passato il Piccolo, dando falsamente per avvenuta l’acquisizione degli elenchi (traduciamo):

«LA POLIZIA NELLA SEDE DI TRIESTE LIBERA – Poliziotti della sezione Digos della Questura di Trieste hanno acquisito nella sede del movimento Trieste Libera in piazza della Borsa il suo statuto e l’elenco degli associati. Consegneranno la documentazione alla Procura, dove si pensa ad una denuncia penale nei confronti degli associati e delle associate del movimento che la settimana scorsa hanno protestato ad alta voce in tribunale. Hanno contestato rumorosamente il giudice che ha rinviato al prossimo anno la trattazione dell’eccezione sulla giurisdizione italiana sulle aree dell’ex Territorio Libero di Trieste (TLT). La persecuzione penale degli autori della protesta è stata chiesta dal presidente del Tribunale Filippo Gullotta, mentre l’indagine sui fatti è guidata dal pm Federico Frezza, anche se, come egli afferma, non sono ancora formalizzate le ipotesi di reato. (…).»

Il Piccolo dello stesso 24 luglio dedica invece all’argomento un articolo di Corrado Barbacini, messo anche in rete con l’intervista. L’articolo afferma che «LA DIGOS VUOLE» l’elenco dei soci di Trieste Libera, gliel’ha chiesto direttamente «nei giorni scorsi» e «in modo informale»; e pur ammettendo che l’indagine è stata affidata alla Digos dal pm Frezza quale magistrato titolare del fascicolo, l’articolo sostiene che si è trattato solo di un incarico di effettuare accertamenti investigativi, e Frezza «non ha firmato alcun decreto che formalizza la richiesta delle liste», dunque «si tratta al momento di una richiesta ma non di un ordine o peggio di un sequestro.» per il quale il pm potrebbe «entrare in campo con un provvedimento formale» solo in seguito.

Il quotidiano non precisa invece adeguatamente la notizia essenziale che il pm è stato denunciato, con richiesta di sospensione dal servizio, per aver svolto indagini in condizioni di incompatibilità ex art. 11 c.p.p., oltre che con iniziative intimidatorie e con la massima pubblicità politica di stampa.

In sostanza, dunque, il Piccolo tenta di salvare la posizione del pm Frezza scaricandolo da responsabilità sia per le informazioni al giornale sulle indagini, sia per la disposizione di acquisizione o sequestro degli elenchi degli associati del Movimento, che viene lasciata intendere fosse una sorta di iniziativa autonoma della Digos, accusandone così la Polizia per salvare lui da censure ed altre conseguenze.

E per affermare comunque la fondatezza dell’operato del pm confonde addirittura fatti lasciando intendere che il 18 luglio gli attivisti di Trieste Libera fossero entrati nell’aula del tribunale «con tamburi, fischietti, striscioni, cori, slogan e bandieroni», il che non è vero. Aggiunge poi che l’inchiesta di Frezza è «un’indagine conoscitiva per capire le finalità del movimento e chi lo appoggia e anche lo sostiene finanziariamente». Collegandola così agli argomenti e scopi delle campagne diffamatorie specifiche sostenute dal giornale e dai suoi patroni politici.

Ed oggi, 25 luglio, mentre il Primorski dnevnik ha reffiticato le notizie false di ieri, Il Piccolo continua a non precisare adeguatamente la notiza essenziale del procedimento nei confonti del pm Frezza, né se questi intenda desistere o meno, e a non rettificare le informazioni fuorvianti del giorno prima. Pubblicandone anzi altre in un nuovo commento avvelenato di Barbacini su un’udienza civile di ieri, quando il palazzo ha insistito a drammatizzare provocatoriamente il problema contrapponendo ad un centinaio di manifestanti pacifici addirittura un reparto della Celere di Padova in tenuta antisommossa e facendo piantonare l’aula con 4 carabinieri e 4 poliziotti: eccessi d’effetto intimidatorio con i quali si tutela l’ordine pubblico a rovescio.

Il tutto è accompagnato dalle solite propagande del Pd (Cosolini) per l’urbanizzazione speculativa illecita del Porto Franco Nord, ignorata sinora dalla Procura, e sullo sblocco delle licenze comunali a Greensisam che il Comune non ha affatto il potere di concedere.

Conclusioni

Se ne può dedurre e concludere a questo punto che:

a) sono in corso operazioni aggressive nei confronti di Trieste Libera da parte dell’establishment politico locale che ritiene minacci i suoi interessi;

b) appare comprovata la già denunciata solidarietà operativa anomala, quantomeno di fatto, tra la Procura ed il quotidiano, che viene messo (e non per la prima volta) a conoscenza di notizie su indagini in corso del pm Frezza delle quali fare uso politico pubblico per danneggiare gli indagati a beneficio di terzi. Coprendo poi le responsabilità della Procura a costo di usare come capro espiatorio persino la Polizia;

c) se queste non sono dunque forme di corruzione, dolosa o colposa, del tessuto sociale ed istituzionale di Trieste, qualcuno ci spieghi per favore cos’altro potrebbero essere.

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Integrazione d’analisi: persecuzione del difensore e ostilità ambientali abnormi, anche quali cause di esclusione o decadenza della competenza in materia degli organi giudiziari italiani operanti a Trieste.

L’attacco portato congiuntamente contro Trieste Libera, col pretesto di alcuni dissensi rumorosi in udienza il 18.7, dal Presidente della Sezione Penale dott. Filippo Gullotta, dal pm Federico Frezza e dal quotidiano Il Piccolo diretto da Paolo Possamai non ha incluso “soltanto” un’indagine penale fuori competenza di legge ex art. 11 c.p.p., con pubblicazione strumentale di notizie delle indagini ed un tentativo intimidatorio di acquisizione giudiziaria dell’elenco di tutti gli iscritti (secondo il quotidiano persino dei simpatizzanti) di un movimento politico legittimo e legalitario.

L’attacco pubblico dello stesso Presidente della sezione penale Gullotta, così come riferito, ed utilizzato politicamente dal Piccolo, è consistito anche nel chiedere due altre cose: una presa di posizione di categoria dei magistrati e la punizione professionale dell’avvocato difensore.

Poiché il tutto può sembrare incredibile, trascriviamo letteralmente quanto pubblicato dal Piccolo del 19.7.2013, pag. 32, prudentemente virgolettato dal giornalista e ad oggi (25.7) non smentito dal Presidente Gullotta né da altri, nonostante la palese gravità estrema del fatto:

“A questo punto Gulotta si aspetta, oltre all’intervento della Procura, anche una presa di posizione sia «dell’Anm», l’associazione nazionale dei magistrati, che «dell’Ordine degli avvocati, dato che ii legale di parte civile […] ha attaccato a sua volta il giudice. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.»”.

In realtà quel difensore aveva soltanto fatto il proprio dovere verbalizzando in udienza che le proteste del pubblico erano state provocate dallo stesso giudice in aula. Si tratta delle stesse proteste poi utilizzate per imbastire l’abnorme attacco politico-giudiziario e mediatico coordinato contro l’intero movimento. E la punizione del difensore è una violazione totale ed inconcepibile dei principi costitutivi fondamentali del diritto.

La gravità intrinseca ed ambientale di queste iniziative istituzionali abnormi del Presidente della Sezione penale è stata confermata dal fatto che l’Anm provinciale risulta avere preso posizione pubblica immediata nel senso da lui richiesto, coinvolgendo così tutti i propri iscritti presso il Tribunale di Trieste, nessuno dei quali risulterebbe essersene dissociato, mentre l’Ordine degli Avvocati non risulterebbe essere intervenuto a censura del difensore, ma nemmeno a suo doveroso sostegno. E non sono intervenute nemmeno le altre istituzioni e organizzazioni politiche “democratiche”.

Se ne deduce dunque per prove pubbliche e concrete che l’ambiente giudiziario, forense e politico di Trieste, nel suo insieme e con le ovvie nobili eccezioni di singoli magistrati, avvocati od attivisti dei diritti civili, garantisce i diritti della difesa anche al peggior delinquente, com’è giusto, ma li nega in un clima giudiziario, politico e mediatico indegno, da linciaggio combinato ed intimidazione pubblica grave, ad un unico genere di soggetti individali e giuridici ed ai loro difensori.

Cioè a quelli che contestino pacificamente, con argomenti di diritto ineccepibili e quali titolari dei relativi interessi legittimi, il fatto che Trieste ed il suo Porto Franco sono dal 1954 Territorio libero in amministrazione fiduciaria del Governo italiano su mandato internazionale, e non possono essere perciò considerati e trattati (politicamente, giudiziariamente, amministrativamente, fiscalmente, ecc.) come fossero territorio dello Stato italiano.

Questa situazione repressiva, ora notoria, porta inoltre ad escludere per legittima suspicione od ex art. 11 c.p.p. la competenza del Tribunale e degli altri organi giudiziari di Trieste per tutti i procedimenti comunque attinenti la questione del Territorio Libero in relazione a parti coinvolte. Ma le spese generate dallo spostamento dei procedimenti a sede non compromessa non possono venire addebitate alle parti processuali, che devono esserne perciò esonerate o risarcite a carico dall’autorità giudiziaria italiana.

Se occorreva, inoltre, una prova concreta, attuale e azionabile nelle sedi di garanzia internazionali, della repressione di quei diritti specifici, ma anche di diritti generali, dei cittadini e della collettività locale da parte delle istituzioni italiane a Trieste, l’hanno fornita ora i magistrati Gullotta e Frezza, il quotidiano Il Piccolo e quel contesto politico ed istituzionale consenziente in forma attiva o passiva.

A danno perciò anche degli interessi legittimi e dell’immagine del Governo e dello Stato italiani, e a vantaggio soltanto degli ambienti trasversali che a Trieste supportano e sfruttano, da sempre e tuttora, il nazionalismo di confine.

Con un’ombra ulteriore in tal senso, che viene dal passato e della quale sono stato testimone diretto.

Il mio primo motivo di scontro stampa con lo stesso magistrato Filippo Gullotta (o Gulotta) a Trieste risale infatti al 1989, quand’era giudice istruttore nel noto, delicatissimo caso giudiziario e politico dell’incidente internazionale che costò la vita ad un giovane pescatore gradese e che fu oggetto di strumentalizzazioni pubbliche d’ogni genere.

Avevo reso evidente al giudice Gullotta con atto pubblicato sull’allora Meridiano di Trieste (n. 37: copertina e paga. 24, reperibile anche in rete) che il perito balistico da lui scelto, Marco Morin, risultava indagato dal Tribunale e dalla Procura di Venezia (g.i. Casson, proc. Siclari) per contatti eversivi e per manipolazioni delle prove della strage di Peteano a favore di servizi deviati. I quali in quest’area coltivavano operazioni criminose proprie e contrarie agli interessi euroatlantici, incolpandone gli USA col favore della sinistra.

Ma il perito rimase egualmente incaricato per tutto il processo, che come evidente dall’analisi degli atti ebbe poi conduzioni ed esiti secondo le aspirazioni di quegli ambienti, lasciando perciò una quantità di interrogativi tuttora irrisolti.

© 25 Luglio 2013

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