La Voce di Trieste

Uomini di Dio

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Il film di questa settimana è “Uomini di Dio”, Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2011.

Algeria, anni ’90. Otto monaci benedettini vivono in un silenzioso monastero immerso nella natura e scandiscono le loro giornate coltivando la terra, curando i malati che bussano alla loro porta, pascolando il bestiame, vendendo il miele delle loro api, riunendosi in preghiera e inneggiando la semplice vita in comunione e solidarietà.

La loro missione viene messa a dura prova dall’espandersi del terrorismo integralista durante la guerra civile, lotta armata condotta da alcuni estremisti che giungono fino al loro monastero per avere assistenza medica, aiuto preteso recitando versi sacri e impugnando le armi.

La situazione precipita quando croati, turisti e gente del posto vengono assassinati, il pericolo di un’altra visita indesiderata pone loro un dubbio: restare o tornare in patria, combattere pacificamente armati solo della fede e dell’amore verso qualsiasi prossimo o piegarsi alla minaccia di armi e governi?

La decisione è dura da prendere, il monastero si trova per la prima volta diviso dalla paura, un terrore che non riguarda solo l’integrità fisica, ma soprattutto quella spirituale che a momenti pare cedere facendo perdere ogni fiducia.

Xavier Beauvois ha così raccontato la tragedia dei monaci francesi che nel marzo del 1996 vennero sequestrati e decapitati da un gruppo armato della Jihad islamica; lo ha fatto con inquadrature lente, campi lunghi, tanti silenzi, pochi primissimi piani in cui prevalgono sguardi ed espressioni, pensieri, timori e lacrime. Ciò che emerge non è una denuncia per l’ipotizzata responsabilità dell’esercito algerino durante le trattative e i tentativi di salvataggio, ma il grande senso d’amore che può sopportare e resistere a tutto. L’amore per la vita, la fiducia nell’uomo e un forte credo sono le uniche armi impugnate dai monaci poi diventati martiri, simbolo ed emblema degli errori di una guerra religiosa che ancora oggi prosegue.

Il progetto è nato a dieci anni dalla tragedia e sin da subito Étienne Comar ha provato a realizzare una sceneggiatura che oltre ad approfondire la vicenda storica potesse porre in risalto i motivi intimi e profondi che spingono alla resistenza pacifica in favore del rispetto universale tra uomini e dei diversi. A questo aspetto Beauvois ha cercato di aggiungere, riuscendoci pienamente, uno sguardo più specifico in favore di ogni singolo personaggio. Tra i canti religiosi, la stesura degli scritti, le letture sacre e l’attività comunitaria nel suo insieme, sono emerse anche le diverse identità servite non solo a scandire la narrazione cinematografica, ma anche a riconoscere che conservare la propria individualità non è un ostacolo al gruppo, alla società, all’umanità, anzi è una ricchezza, un collante.

 

 

Xavier Beauvois

Nasce e cresce a Pas-de-Calais, figlio di un farmacista e di una docente di moda. Da adolescente, dopo aver assistito alla conferenza dello storico cinematografico Jean Douchet, scopre la sua passione per il cinema per cui lascia il liceo prima di diplomarsi e va a vivere a Parigi. Cerca di entrare al IDHEC, istituto di studi cinematografici, ma non viene accettato eppure, 10 anni dopo, è la stessa scuola, ormai rinominata Fémis, a chiamarlo per offrirgli la cattedra di direzione degli attori.

Poco tempo dopo riesce ad ottenere una borsa di studio all’Académie de France a Roma dove conosce Agata Boetti, sua futura moglie, e comincia come aiuto regista affiancando anche autori intellettualmente impegnati come Manoel de Oliveira, all’epoca dietro la macchina per Mon cas (1986). É la prova che gli dà il coraggio di cimentarsi in un lavoro tutto suo, così nello stesso anno gira il primo corto Le matou, seguito due anni dopo da una buonissima prova interpretativa in Daniel endormi di Michel Béna e nel 1991 dal lungometraggio Nord, apprezzatissimo dal pubblico e dalla critica tanto da valergli una nominaton ai César per la migliore opera prima e come miglior speranza maschile. In questo stesso anno recita anche in Sotto il cielo di Parigi di Michel Béna cui segue nel 1995 un’altra prova dietro la cinepresa, N’oublie pas que tu vas mourir per cui vince il Premio della Giuria al Festival di Cannes.

Recita ancora in Le vent de la nuit (1999) con Catherine Deneuve, I testimoni (2007) e Disco (2008) con Gérard Depardieu; dieci anni dopo ritorna con Le petit lieutenant vincitore del Label Europa Cinemas e nel 2011 si ripresenta a Cannes con Uomini di Dio che narra le gesta di sette monaci uccisi nel 1996 dal terrorismo fondamentalista islamico e vincitore del premio Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2010.

 

Lambert Wilson

Figlio di Georges Wilson, attore teatrale prestato anche al cinema tra gli anni Cinquanta e Sessanta, cresce in un ambiente creativo che lo porta ad esordire al cinema a soli vent’anni in Giulia (1977) di Fred Zinnemann, in cui debutta anche Meryl Streep. Seguono Il gendarme e gli extraterrestri, la versione cinematografica diretta da Jean Girault del cartone giapponese Lady Oscar e poi il film storico Contro 4 bandiere (1979) diretto dall’italiano Umberto Lenzi.

Negli anni ’80 si dedica soprattutto al mondo televisivo dove, però, accumula solo parti marginali in film di poco valore cui segue il non efficace seguito de Il tempo delle mele per la regia di Claude Pinoteau; Zinnemann lo rivuole per l’ultimo film della sua carriera Cinque giorni, un’estate (1982) dove affianca la coppia Connery – Brantley.

Le stesse insoddisfazioni televisive lo opprimono al cinema dove compare in Il sangue degli altri di Claude Chabrol, La Femme Publique di Andrzej Zulawski, Sahara di Breck Eisner e in Rendez-vous di André Téchiné dove affianca Juliette Binoche e Jean-Louis Trintignant.

Luigi Comencini lo dirige in La storia, film per la tv tratto dall’omonimo libro di Elsa Morante; poi con Peter Greenway fa parte del cast de Il ventre dell’architetto (1987), è ne I demoni di Andrzej Wajda, poi in Chouans! e ancora in Inverno 1954 di Denis Amar.

Nel 1988 veste i panni di Pedro de Ursúa in El Dorado, cui segue un lavoro con il padre in La donna del lago maledetto, prosegue con la commedia sentimentale Parole, parole, parole… di Alain Resnais, pellicola vincitrice dell’Orso d’Argento a Berlino nel 1997, ed ancora in Marquise, film in costume diretto da Vera Belmont. Deborah Warner lo chiama nel drammatico Last September e poi è il protagonista maschile dell’esordio dietro la cinepresa dell’attrice italiana Valeria Bruni Tedeschi, È più facile per un cammello….

Nonostante li abbia sempre evitati, una volta ad Hollywood deve concedersi anche a film commerciali: nel 2003 è in Matrix Reloaded e poi nel seguito Matrix Revolutions dei fratelli Wachowski, poi appare in Catwoman (2004) diretto da Pitof e nel film estivo di Richard Donner Timeline. Affianca Penelope Cruz e Matthew McConaughey in Sahara – Le avventure di Dirk Pitt di Clive Cussler per poi ritornare in patria francese con Resnais in Cuori e in Gentille di Sophie Fillières.

Riprende poco dopo la carriera iniziata negli Stati Uniti con il thriller Un colpo perfetto poi all’action movie Babylon A.D. di Kassovitz ma soprattutto è il protagonista di Dante 01 dove interpreta San Giorgio, un prigioniero illuminato e dotato di poteri incredibili.

 

Michael Lonsdale

Mamma francese e papà inglese, passa la sua infanzia a Londra, trasferendosi nel 1939 in Marocco dove, già nel 1943, intrattiene le trasmissioni radiofoniche di Radio Maroc. Tornato in Francia nel 1947, tramite un’amicizia con Roger Blin, scopre il teatro che sarà, con il cinema, la passione più grande.

Debutta sul grande schermo nel film di Michel Boisrond C’est arrivé à Aden (1956), ma all’inizio sono piccoli ruoli di contorno quasi comparsate per cui si presta anche in film come La ragazza super sprint (1960) con Catherine Deneuve, Le bugie nel mio letto (1962) e La spiata (1962).

Riesce a conquistarsi la simpatia di registi francesi come Gèrard Oury, Michel Devill, Jean-Pierre Mocky, Edouard Molinaro, ma soprattutto della scrittrice Marguerite Duras, che durante i suoi passaggi cinematografici lo vuole in molte pellicole.

Anche Orson Welles lo sceglie nel ruolo di un prete nel film Il processo (1962) con Anthony Perkins e Jeanne Moreau, mentre è accanto a Gregory Peck nel ruolo di un reporter in …e venne il giorno della vendetta (1964) cui segue due anni dopo Parigi brucia?.

Collega di Philippe Noiret in Les copains del 1965 e La tardona del 1972 di Jean-Pierre Blanc, è in La bourse et la vie del 1966 e L’homme à la Buick del 1968, anno in cui viene diretto da François Truffaut in La sposa in nero ed è in Baci rubati.

Sono titoli a cui si aggiungono molti altri in cui trova finalmente una collocazione cinematografica, a volte da antagonista o semplicemente da burbero, autoritario, severo e pericoloso: La contestazione del tubo (1968), C’era una volta un commissario… Georges Lautner del 1971 come Soffio al cuore di Louis Malle e Inchiesta su un delitto della polizia di Marcel Carné. Nel 1972 è in Il giorno del toro, due anni più tardi veste il camice da dottore per Alain Resnais in Stavisky, il grande truffatore e Luis Buñuel lo dirige in Il fantasma della libertà; è nel cast di Sposamenti progressivi del piacere e subito dopo in La polizia indaga: siamo tutti sospettati. L’anno seguente è in Una donna da uccidere, Ne e Primavera carnale, ma il suo meglio lo dà nel ruolo di Lebel nel film Il giorno dello sciacallo (1973) per il quale viene nominato al BAFTA come miglior attore non protagonista.

Tra gli altri film ci sono Mr. Klein (1976), L’imprécateur (1977), Agente 007 Moonraker: Operazione spazio (1979) di Lewis Gilbert, il premio Oscar Momenti di gloria (1981), Le rose et le blanc (1982), Dagobert (1984) di Dino Risi, Il ritorno delle aquile (1985) con Caine e Il nome della rosa (1986) con Sean Connery. James Ivory lo dirige in Quel che resta del giorno del 1993, Thomas Jefferson in Paris del 1995 anno in cui si ritrova anche in Nelly & Monsieur Arnaud per cui ottiene una nomination ai César come miglior attore non protagonista; tre anni dopo é nel thriller Ronin (1998) John Frankenheimer con Robert De Niro, poi Sotto falso nome (2004), Munich (2005) di Steven Spielberg e L’ultimo inquisitore (2006) di Milos Forman. Altra candidatura al César come attore non protagonista arriva per La question humaine del 2007 cui segue nel 2009 Agora e ancora Uomini di Dio di Xavier Beauvois, pellicola vincitrice del Premio della giuria all’ultimo Festival di Cannes.

Contemporaneamente si è prestato ad alcune serie televisive tra cui Alberte (1972), Malaventure (1974) e Le silence de l’épervier (2008) e ad altri film tv come The Bunker (1981) con Anthony Hopkins e Un cane sciolto 3 (1993).

 

Olivier Rabourdin

Sin dall’inizio della sua carriera cinematografica viene scelto da cineasti di spicco e anche il suo esordio è avvenuto sotto la direzione di un mostro del cinema, Manoel de Oliveira in Le soulier de satin (1985). Cinque anni dopo è nel cast di Amleto di Franco Zeffirelli e nel 1992 è in quello della commedia Riens du tout diretta da Cédric Klapisch.

Nel 1999 partecipa a due grandi lavori, Giovanna d’Arco di Luc Besson in cui interpreta il duca Richemont e poco dopo è nel cast de L’extra-terrestre per la regia di Didier Bourdon che gli affida il ruolo di un androide alla caccia dell’alieno Zerph fuggito dal suo pianeta e rifugiatosi sulla Terra.

Nel 2008 partecipa anche all’action thriller Io vi troverò diretto da Pierre Morel e con la sceneggiatura e produzione di Luc Besson, l’anno dopo è in Welcome diretto da Philip Lioret che elabora l’attuale tema dell’immigrazione e della diversità, e nel 2010 continua a lavorare ad impegni interessanti: partecipa a Love Crime thriller diretto da Alain Corneau e a Uomini di Dio diretto da Xavier Beauvois, pellicola che riconferma la capacità dell’attore di misurarsi ugualmente bene in film commerciali come in parti impegnate.

 

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© 9 Giugno 2011

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