La Voce di Trieste

“La fine è il mio inizio”

di

Tiziano Terzani si racconta al figlio Folco

Folco (Elio Germano) parte dall’America per raggiungere il padre, isolato nel suo paradiso sull’appennino tosco emiliano ad aspettare la fine dei suoi giorni. Tiziano (Bruno Ganz) non ha paura di morire perché si è preparato spiritualmente all’abbandono del corpo, un corpo ormai dilaniato ma padrone.

Aspettando il giorno della fine, padre e figlio si concedono ai ricordi, quasi una costrizione che il padre impone al figlio, un’intervista per indagare, per scoprire qualla parte della vita di Tiziano che Folco non aveva mai conosciuto. I racconti mostrano un uomo manovrato dal piacere di apprendere, dal fascino dell’oriente, in particolare della Cina e dal riscatto sociale, quello dell’uomo nato povero e che tra i poveri rimane per riportare, mostrare, denunciare e capire. Ma raccontandosi Tiziano ammette gli errori, l’aver frainteso e dimenticato storie, guerre, uomini che credeva d’aver sviscerato e assorbito.

Il percorso padre e figlio è fatto anche di lunghi silenzi, alcuni obbligati per dare tregua al rudere di carne e ossa, altri invece per piacere, per sentire il proprio respiro, lento, confondersi con quello della terra circostante, per osservare la natura che ci ha creati dalle ceneri dei nostri avi e restituirsi a lei nel nuovo inizio.

Questa è la storia degli ultimi giorni di Tiziano Terzani, giornalista e scrittore italiano, morto nel 2004. Una vita densa di avvenimenti, viaggi ed esperienze che il figlio trascrive con dovizia nel libro postumo La fine è il mio inizio da cui è tratto il film di Jo Baier. La sceneggiatura è a cura dello stesso Folco Terzani ed è assolutamente percepibile durante la visione; c’è qualcosa di intimo che trasuda il film e che non si riesce ad evitare nonostante il pessimo doppiaggio.

Ottima la fotografia di Judith Kaufmann con colori splendenti, lucidi, caldi, intensi. È impossibile non sentirsi avvolti dal peasaggio in cui si svolge la vicenda, così vivo e al contempo quieto. Il posto perfetto per iniziare, finire e ricominciare.

Nuvole dense e montate si stagliano contro il cielo arancione del tramonto illuminando padre e figlio in quel loro momento d’attesa e riflessione. Non una lacrima, tutto si svolge tra dialoghi, pause, racconti e qualche brontolio, che nei fiorentini non manca mai.

Elio Giordano, nei panni di Folco, ha confermato la sua fama di poliedrico attore dall’abile imitazione d’accenti; anche Bruno Ganz ha dato una buona prova che si apprezza, però, solo alla fine; seppur nascosta è Erika Pluhar che sorprende (nei panni di Angela Terzani) interpretando una fortissima moglie che non si abbandona mai alla tristezza per la perdita del marito preferendo pensare si tratti solo di uno dei suoi tanti viaggi.

 

Jo Baier

Nato nel 1949 a Monaco di Baviera, conseguita la maturità studia Scienze dello spettacolo, germanistica e americanistica all’Università Ludwig-Maximilian. Nel 1979, un anno prima del suo dottorato in filosofia, inizia il suo lavoro come regista di documentari girandone ad oggi più di 60.

Dal 1984 scrive anche le sceneggiature di parecchie fiction.

Per i suoi film Jo Baier ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti, tra i quali più volte il Premio Adolf Grimme, il Premio della Televisione Bavarese, il Premio per la Regia dell’Accademia Tedesca delle Arti Figurative, il Premio per la Televisione dell’Accademia Tedesca delle Arti Figurative, il Premio TV Tedesca e il Premo Robert Geisendörfer.

Tra i suoi lavori più importanti spiccano Schiefweg (1986/87), Wildfeuer (1900/91), HölleisengretlDame Gretl (1994), Wambo (2000), Verlorenes LandTerre perdue (2001), Stauffenberg (2003), Nicht alle waren Mörder Ce n’étaient pas tous des assassins (2005), Das letzte Stück HimmelPar amour pour Julian (2006), Liesl Karlstadt und Karl Valentin” (2007),  Henri 4 (2010) e l’ultimo La fine è il mio inizio del 2011.

 

Bruno Ganz

Metà svizzero e metà italiano nasce a Zurigo nel 1941. A vent’anni debutta a teatro guadagnando da subito una buona reputazione come un solido e giovane attore presente nella scena tedesca, ma già l’anno prima esordisce al cinema con il film di Karl Suter Der Herr mit der schwarzen Melone. Per dieci anni aterna la televisione tedesca al teatro. A 23 anni conosce a Brema Peter Zadeke e Peter Stein, appassionati come lui di teatro, ed è con loro che nei giorni della contestazione abbandona i teatri stabili e gira per la Svizzera recitando in sedi improvvisate, siano questi cinema, trattorie o birrerie.

Arrivato a Berlino fonda con Stein uno dei teatri più prestigiosi e famosi d’Europa la Schaubühne che negli anni ’70 diventa il palcoscenico di opere come La madre di Gorkij, Il principe di Homburg e La morte di Empedocle. La fama nell’entourage intellettuale tedesco e le grandi soddisfazioni teatrali non gli impediscono di avviarsi al cinema e il primo ruolo affidatogli è quello di un attore riflessivo dedito all’introspezione nel film (uno dei più felici del cinema tedesco eppure inedito in italia) Sommergeste del 1975, diretto proprio da Peter Stein, il suo migliore amico.

Da qui il suo nome comincia a circolare anche al cinema arrivando in particolare in Francia dove l’attrice Jeanne Moreau, passata alla regia, lo vuole nel cast di Lumiére del 1976, stesos anno in cui anche Eric Rohmer lo inserisce in La Marchesa Von… con il ruolo del Conte.

Anche in Germania, all’epoca divisa e in crisi di identità, ottiene parti prestigiose in pellicole come L’amico americano (1977) di Wim Wenders e Nosferatu, principe della notte (1979) di Herzog. Sbarca in America dove recita accanto a tre grandi divi, Gregory Peck, James Mason e Laurenco Olivier ne I ragazzi venuti dal Brasile (1978) di Franklin J. Schaffner; anche l’Italia non è da meno e infatti Bertolucci lo vuole in Oggetti smarriti e Mauro Bolognini lo ingaggia per La vesta storia della signora delle camelie entrambi del 1980.

L’scesa cinematografica coincide con il ritorno a teatro, in cui ricompare nel 1982 portando in scena l’edizione dell’Amleto alla Schaubühne, Parco di Botho Strass e Prometeo incatenato di Eschilo. Wim Wenders, uno dei registi che pià lo apprezza, lo richiama al cinema con Il cielo sopra Berlino del 1987 e con il suo seguito Così lontano, così vicino del 1993.

Doveva poi interpretare Oskar Schindler in Schindler’s List di Steven Spielberg, ma la produzione lo scarta perché “non abbastanza conosciuto”. Si conforta subito però con Theo Angelopoulos in L’eternità e un giorno (1998) e con Silvio Soldini in Pane e tulipani (2000), successo che gli vale il David di Donatello come Miglior Attore Protagonista.

Nel 2004 interpreta il ruolo scomodo di Hitler in La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler di Olivier Hirschbiegel e per la sua eccezionale interpretazione Hollywood lo richiama per una parte nel film di Jonathan Demme The Manchuian Candidate sempre del 2004.

Si fa dirigere da Francis Ford Coppola in Un’altra giovinezza (2007) e poi torna in Germania con La Banda Baader Meinhof (2008) e The ReaderA Voce Alta (2008). Nel 2011 è in Unknown – Senza Identità di Collet-Serra e nella produzione italo-tedesca La fine è il mio inizio, nei panni del protagonista, Tiziano Terzani, ormai sul punto di morire.

 

Elio Germano

Romano di nascita ma originario di Campobasso, sin da bambino mostra il suo amore per la recitazione negli spettacolini estivi allestiti dai villaggi turistici, in cui soggiornava con la famiglia.

A 12 anni debutta nelle vesti di Andrea in Ci Hai Rotto Papà!, poi entra in alcune compagnie no profit come il Colosseo, il Furio Camillo e il Teatro dei Cocci e durante il liceo scientifico frequenta un corso presso il Teatro Azione diretto da Isabella Del Bianco e Cristiano Censi. Rifiutato dalla scuola per fumettisti si inscrive, per un breve lasso di tempo, alla facoltà di Lettere e Filosofia.

Nel 1999, l’anno del vero e proprio frenetico percorso che lo vede dividersi tra tv, cinema e palcoscenici, lavora con Ricky Tognazzi in Il cielo in una stanza di Carlo Vanzina. Dopo la soddisfazione letteraria di “Scrittura Fresca”, racconto con cui vince il concorso regionale promosso dal Comune di Roma, interpreta Er Pasticca in Un medico in famiglia 2 e colleziona figurine del Fantacalcio nella serie tv Via Zanardi 33.

Tra il 2001/04 è il figlio di Abatantuono in Concorrenza sleale di Ettore Scola, lavora con Valeria Golino nelle terre siciliane di Respiro e infine interpreta il liceale coatto e un pò cafone, m dal cuore d’oro in Che ne sarà di noi che gli fa guadagnare una nomination al David di Donatello e ai Nastri d’Argento.

Lo vuole anche Gabriele Salvatores in Quo vadis, baby? e poi Michele Placido in Romanzo criminale, nel 2006 è in Napoleone di Paolo Virzì e nel 2007 in Mio fratello è figlio unico di Daniele Luchetti. Questa prova gli frutta un David come Migliore Attore Protagonista, ma non si ferma azzardando pesanti scene di nudo integrale in Nessuna qualità agli eroi.

Nel 2008 si cimenta come conduttore radiofonico in Il mattino ha l’oro in bocca poi come brillante allievo di giurisprudenza in Il passato è una terra straniera e ancora come delinquente in Come Dio comanda. Nel 2009 entra nel riadattamento cinematografico di 8 e ½ ad opera di Rob Marshall Nine ed è protagonista dell’unico film italiano al concorso di Cannes 2010, La nostra vita di Daniele Luchetti.

 

Erika Pluhar

Nata a Monaco di Baviera diventa nota al grande pubblico attraverso il film tv in due parti Bel Ami. Anche lei ha recitato per Wim Wenders in La paura del portiere prima del calcio di rigore (1971), per Otto Schenk in Merry go round (1973) e per Wolf Gremm in The brothers (1976) e Death or freedom (1977). Oltre alla carriera d’attrice ha intrapreso anche quella da cantante, infatti dal 1981 ha pubblicato parecchi album e cantato testi propri, riservandosi anche il piacere della scrittura dando alle stampe qualche libro.

 

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© 8 Aprile 2011

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