La Voce di Trieste

Il Consiglio di Stato conferma l’inviolabilità internazionale del Porto Franco

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La notizia vera, ed importante per il lavoro portuale di Trieste in crisi, è che la suprema Corte amministrativa italiana, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 2780/2012 depositata il 15 maggio ha confermato integralmente la sentenza n. 2677/2009 del TAR del Lazio che ha respinto per motivi procedurali un ricorso in materia di pianificazione territoriale nel Porto Franco internazionale di Trieste, ma ha riaffermato gli obblighi internazionali inderogabili dello Stato italiano a mantenerlo e svilupparlo al servizio di tutte le Nazioni.

La sentenza del TAR, divenuta così definitiva, conferma perciò illecita la tentata urbanizzazione speculativa del Porto Franco Nord (Punto Franco ‘vecchio’), così come da noi documentatamente denunciata questo gennaio alla Procura di Roma nelle ipotesi di truffa pluriaggravata allo Stato ed a terzi in violazione di vincoli di diritto internazionale e violazione penale della Legge n. 17/1982.

Cliccando qui potete leggere la nostra apposita estrapolazione dalla sentenza TAR nella rassegna giurisprudenziale allegata alla denuncia, e sinora inedita. E constatare che racconta balle sia chi nega la validità dei vincoli internazionali, destinati al commercio marittimo, sia chi promette di sostituirlo con centri finanziari offshore.

Le notizie false sono quelle contrarie del quotidiano locale Il Piccolo, secondo cui la sentenza del Consiglio di Stato avrebbe invece negato i vincoli internazionali legittimando l’operazione fraudolenta. Costruita e sostenuta da una consociazione anomala ma non casuale di politici, funzionari, costruttori, e dallo stesso Piccolo con una campagna disinformativa vergognosa. Fatta per condizionare e pilotare sia l’opinione pubblica, sia i troppi politici ed amministratori pubblici inetti che studiano i problemi solo sui titoli ed articoli superficiali ed ingannevoli dello stesso quotidiano.

Anticipiamo perciò subito qui in rete quanto approfondiremo in argomento sul numero 6 dell’edizione quindicinale a stampa della Voce, che uscirà in edicola il 25 maggio (ora trovate in vendita il n. 5).

L’origine della questione

L’Associazione Porto Franco Internazionale di Trieste ha sempre unito ai propri ottimi e sacrosanti propositi gravi limiti operativi e carenze organizzative. Perché appartiene a quel genere di ambienti-bene locali che vorrebbero risolvere i problemi senza esporsi, e senza entrare in conflitto serio con nessuno. E non riescono perciò a combinare nulla di concreto.

Nel 2007 l’Associazione ha pensato così di contrastare la truffa sul Porto Franco Nord con un mero ricorso amministrativo, impugnando davanti al TAR centrale del Lazio gli strumenti di pianificazione territoriale che modificano illegittimamente la destinazione d’uso del Porto Franco Nord. Ed anche se ha azzardato la tesi discussa dell’extraterritorialità, e non solo extradoganalità, del Porto Franco, per il resto nel merito aveva indiscutibilmente ragione. Ma ha commesso tre ordini di errori tecnici gravi, due dei quali rilevati dai giudici amministrativi per dichiarare il ricorso in parte inammissibile ed in parte infondato.

Il primo errore, quello non rilevato, consisteva nella contraddizione radicale invalidante dell’adire la giurisdizione italiana contestandone la sussistenza, che va semmai impugnata nelle sedi internazionali. I due errori rilevati consistevano invece nell’impugnare il provvedimento di adozione delle modifiche pianificatorie (del 2005), ma non anche quelli della loro approvazione ed esecuzione (del 2007), e nell’avere eccepito tardivamente la mancanza delle valutazioni obbligatorie d’impatto ambientale (VIA) ed ambientale strategica (VAS). E gli errori non erano sanabili con l’appello presentato nel 2007 al Consiglio di Stato.

Il significato reale delle due sentenze

Respingendo perciò il ricorso, la sentenza del TAR ora confermata da quella d’appello del Consiglio di Stato non si è in realtà pronunciata sulla validità delle modifiche concrete di destinazione urbanistica introdotte dagli strumenti di pianificazione impugnati, ma si è limitata a riconoscere la potestà astratta di emanarli. E questo attraverso la definizione del problema della giurisdizione italiana con una disamina rigorosa e completa della materia, così come interpretata dall’ordinamento italiano a recepimento di quello internazionale.

Confermando così che secondo l’ordinamento nazionale (vincolante per tutti gli organi della Repubblica incluse le amministrazuioni locali) lo Stato italiano ha acquisito col Memorandum di Londra del 1954 l’amministrazione e col Trattato di Osimo del 1975 la sovranità su Trieste, ma unitamente all’obbligo internazionale di garantire e mantenerne il Porto Franco internazionale in base agli strumenti internazionali specifici radicati nel Trattato di Pace di Parigi del 1947 (ed a loro volta vincolanti ex artt. artt. 10 e 117 della Costituzione). Obbligo che vale non solo nei confronti dei Paesi firmatari, ma di tutte le nazioni utenti potenziali del Porto Franco, tutte perciò titolate a reclamare per gli indempimenti.

La sentenza TAR ora definitiva è infatti chiarissima, e fa giurisprudenza inequivoca:

«[…] l’art. 34 dell’Allegato VI (Statuto permanente del Territorio Libero di Trieste) al Trattato di Pace di Parigi del 1947 […] prevedeva la creazione, nel Territorio Libero di Trieste, di un Porto Franco amministrato in conformità alle disposizioni contenute nello strumento internazionale costituente l’Allegato VIII al Trattato […] Il successivo art. 35 prevedeva poi “libertà di transito” per le merci trasportate per il Porto Franco “e gli Stati che esso serve”, secondo le consuetudini internazionali, senza discriminazioni e senza percezione di dazi doganali.

[…] Con il […] Memorandum (di Londra del 1954, ndr) il Governo Italiano si impegnava “a mantenere il Porto Franco a Trieste” in armonia con gli artt. da 1 a 20 del Trattato di Pace del 1947. Con il Trattato di Osimo del 1975 è stata poi definitivamente sancita la spartizione dell’ex Territorio Libero di Trieste.

[…] Il Porto Franco […] è al di fuori della linea doganale ma entro i confini politici italiani. […] si tratta […] di un’entità caratterizzata […] da un regime internazionale di franchigia e tuttavìa oggi necessariamente assorbita nella (o almeno coordinata con la) sfera delle competenze generali dello Stato sovrano.

[…] quanto al “regime internazionale” del Porto Franco, per il quale l’art. 1 dell’Allegato VIII rinvia (comma 2) alle disposizioni del medesimo Strumento, esso dev’essere inteso, anche alla stregua delle consuetudini internazionali (anch’esse richiamate dall’Allegato suddetto), nei limiti, sopra specificati, della libertà commerciale e doganale […].

[…] il Governo italiano è stato vincolato, dal Memorandum predetto, alla conservazione del Porto Franco secondo gli artt. da 1 a 20 dell’Allegato VIII […] Il Porto Franco Vecchio, dunque, […] deve essere inteso […] come zona speciale nella quale sono riconosciuti importanti privilegi fiscali e doganali indicati dal Trattato del 1947 e confermati in modo espresso anche dalla legislazione italiana (cfr. art. 169 del Testo Unico doganale n. 43/1973). […]

[…] Non v’è dubbio, insomma, che il Porto Franco costituisca oggetto di trattati da rispettare e di un conseguente impegno internazionale dello Stato italiano, ma i termini di questo impegno vanno parametrati esclusivamente alle franchigie e ai privilegi fiscali e doganali nonché alla libertà dei commerci in assenza di discriminazioni […]

[…] Per ciò che attiene alla Legge n. 84/1994 (sui porti, ndr) essa si applica sicuramente […] al Porto di Trieste ed alle relative zone franche (che ne costituiscono d’altra parte estensione territoriale assolutamente rilevante). […] l’art. 6 comma 12 della legge stessa […] prevede che “è fatta salva la disciplina vigente per i punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste” […]

[…] si è già posto in evidenza come, con la successione dello Stato Italiano al TLT, lo Stato stesso sia subentrato nella titolarità delle funzioni e dei compiti sul Porto Franco a suo tempo riconosciuti, dall’Allegato VIII del Trattato di pace del 1947 e dal Memorandum di Londra del 1954, al Territorio libero stesso. Tra tali funzioni rientrano anche quelle allora esercitate dal Direttore del Porto, a cui è ora subentrata l’Autorità portuale. E tra tali compiti vi è quello di “mantenere” il Porto Franco, di amministrarne il funzionamento, e lo sviluppo come un porto in grado di far fronte a tutto il traffico relativo, con responsabilità dell’esecuzione del lavori portuali, del funzionamento delle installazioni e degli impianti portuali (cfr. Par. 5 del Memorandum ed art. 19 dell’Allegato VIII più volte citati).

Non lasciarsi ingannare dalla confusione mediatica

La conferma del Consiglio di Stato arriva però in un momento di massima confusione che ne rende facili le falsificazioni politiche e mediatiche da parte del quotidiano e di politici e commentatori coinvolti. Perché l’avvìo delle indagini penali da Roma ha indotto i corresponsabili primari di centrodestra della frode a dichiararsi improvvisamente, da un mese, paladini del Porto Franco, anche se con proposte stravaganti, ignoranti e contraddittorie. Mentre i corresponsabili secondari, gli ex-comunisti del Pd, sono passati a difenderla loro in prima linea, sindaco Cosolini in testa. Ed il tutto con disprezzo ostentato della verità e della legalità documentate.

Suscitando perciò, oltre a riprovazione e sconcerto, anche sospetti legittimi quanto ovvi, con ipotesi che spaziano dagli estremi delle incompetenze e delle irresponsabilità cialtronesche a quelli delle varie corruzioni purtroppo sistemiche in questo Paese.

In ogni caso, la misura è colma. E per la città è arrivato il momento di non lasciarsi più abbindolare né da costoro, di qualsiasi colore politico siano, né da un quotidiano locale così ipocritamente fazioso e scorretto.

© 17 Maggio 2012

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