La Voce di Trieste

Parcheggio geriatrico a pagamento (prima parte)

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Foto di Roberto Crisanaz

Via via che l’aspettativa di vita si estende, la qualità di quest’ultima degrada. Vivere più a lungo  viene considerata dallo Stato solo come un’opportunità per lavorare di più, un vantaggio per il sistema previdenziale. L’aumento delle probabilità di ammalarsi e la perdita dell’autosufficienza sono invece particolarmente interessanti dal punto di vista delle industrie farmaceutiche e di tutte le attività produttive e imprenditoriali che ruotano intorno a quel grande investimento che è la vecchiaia.

Le case di riposo sono in questo senso un paradigma negativo in cui le conseguenze della demolizione dello Stato Sociale vengono egregiamente rappresentate: privatizzazione e affari, sfruttamento, improvvisazione, marginalità della dignità umana.

LA SIGNORA L.
La signora L. ha 94 anni e, insieme agli acciacchi, grosse difficoltà di deambulazione: ultimamente trascorre gran parte della giornata a letto. Vive con la figlia di 73 anni che la accudisce e con cui ha un buon rapporto.  Un giorno la figlia è costretta a sottoporsi a un intervento chirurgico che la lascia stremata e con la necessità di riposo assoluto.

Tenta di proseguire ugualmente nell’assistenza quotidiana all’anziana madre, ma proprio non ce la fa.

Così ne parlano tra loro e contattano una casa di riposo privata a pochi passi da casa. Si tratterà di una soluzione temporanea, un mese al massimo solo per consentire una convalescenza più tranquilla alla figlia.

La signora L. viene trasferita nella struttura. Si tratta di un ampio appartamento, situato in una zona popolosa della città, in grado di ospitare una ventina di persone circa. La cifra pattuita è di 1500 Euro per un mese di permanenza.

Il giorno stesso del ricovero, verso sera, dopo che ha terminato di cenare nel soggiorno insieme agli altri ospiti, la signora L. chiede di essere riportata a letto perché si sente molto stanca. Non accade nulla. L’inserviente è troppo occupata. La signora L. rinnova la sua richiesta. Le viene detto di pazientare, ed è costretta ad attendere ancora più di mezz’ora prima che l’operatrice la aiuti a coricarsi.

Nella tarda mattinata del giorno seguente viene accompagnata in bagno. L’assistente, dopo averla fatta accomodare sulla tazza, le dice di starsene tranquilla lì, che ritornerà presto per farla uscire. La signora L. aspetta in silenzio per un po’, dopodiché cerca di richiamare l’attenzione. Trascorrono diversi minuti, e l’assistente fa capolino dalla porta del bagno e consiglia di portare pazienza perché “altrimenti non si mangia”, e intende dire che non riesce a fare due cose contemporaneamente.

Sembra dunque ci sia un’unica persona che si sta occupando del pranzo e dell’igiene personale degli ospiti.

Ma non basta. Un visitatore che si trova in quei giorni a frequentare la struttura afferma di aver visto l’addetta alla preparazione dei pasti interrompere l’attività ed effettuare un test INR, che consiste in un micro prelievo di sangue, a un ospite. La cucina all’occorrenza diventa quindi un ambulatorio di fortuna, e chi fa la cuoca è autorizzata anche a improvvisarsi infermiera, o viceversa.

Effettivamente non è chiaro quante persone siano di servizio per ciascun turno; di solito si vede solo un’assistente, in pochi casi se ne avvistano due.

La figlia della signora L. ha preparato una tabella in cui vengono specificati i diversi farmaci e gli orari in cui questi devono essere assunti da sua madre. Ma la signora L., ben vigile, si rende conto che le medicine le vengono somministrate in due soluzioni, una manciata di pillole al mattino e un’altra alla sera.
Quando chiede che le venga cambiato il pannolone, l’assistente, che sta smontando il servizio e va evidentemente di fretta, infila un pannolone pulito sotto a quello bagnato, riveste l’ospite e si congeda con le parole:”Fino a domani puoi restare così”. L’indomani mattina c’è un’altra persona di turno, e scoprendo la soluzione escogitata dalla collega non può fare a meno di chiedersi ad alta voce chi abbia combinato quel pasticcio.
Nel frattempo la figlia della signora L. comunica telefonicamente che il medico ha ordinato una variazione nella terapia: il dosaggio per il farmaco che serve a tenere sotto controllo la pressione va dimezzato, una pillola al giorno invece di due.

La variazione viene ignorata, e lo stesso giorno alla signora L. sta per essere somministrata anche la seconda compressa, ma in quel momento è in visita un familiare che è a conoscenza delle ultime comunicazioni mediche, e segnala all’addetta l’errore. Nel dubbio, chiede anche che alla signora venga misurata la pressione.

Ma non si può fare, perché lo sfigmomanometro, lo strumento con cui si rileva la pressione arteriosa, è guasto.

La misura è colma, e la figlia della signora L. fa in modo che sua madre lasci immediatamente la struttura.

Viene presentata una fattura di 900 Euro per tre giorni di permanenza. Ma il contratto prevede il diritto di recesso, e dopo qualche discussione la somma si riduce magicamente a 180 Euro.

Le due donne non hanno voglia e tempo di intentare causa e imbarcarsi in vicende giudiziarie senza fine, quindi il conto viene saldato senza fare altre discussioni, perché in quel momento tutto quel che importa è che la signora L. sia uscita senza troppi danni dalla casa di riposo.

VIOLAZIONI INVISIBILI
Quella della signora L. è infatti una storia a lieto fine. Quante altre si concludono così? Quanti altri anziani ricoverati in residenze polifunzionali hanno la buona sorte di avere un congiunto che riesca a tenere sotto controllo la situazione?

(Leggi la seconda parte)

 

© 28 Ottobre 2013

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