La Voce di Trieste

Perché il “riuso del porto vecchio” di Trieste è invece una colossale truffa immobiliare guidata da una ‘cupola’ politico-speculativa

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Osservatorio – Cronache della ‘cupola’: il porto franco

Come abbiamo già scritto (leggi qui) l’inchiesta-denuncia dell’A.L.I. – Associazione Libera Informazione notificata a Prefetto, Commissario del Governo e Procure sull’urbanizzazione illecita del Porto Franco Nord spacciata suggestivamente per “riuso del porto vecchio”, ed il preannuncio del ricorso all’Unione Europea, hanno già ottenuto alcune prime retromarce prudenziali del Prefetto e Commissario, della titolare della concessione illegittima Portocittà, e dello stesso quotidiano propagandista Il Piccolo, anche se delle denunce ha evitato di dare notizia.

Vi si sono aggiunti ora alcuni dei fiancheggiatori, accortisi improvvisamente che mancano i soldi per le iniziative con cui pretendevano di mantenere l’apertura illegittima della cinta doganale ottenuta con la mostra fallimentare di Sgarbi, e che il celebrato Magazzino 26 è addirittura inadatto perché il suo restauro è incompleto e difettoso. Il che richiederà dunque un’inchiesta a sé, dato che risulta costato al Ministero dei Trasporti oltre 16 milioni di euro, stanziati inoltre per gli usi portuali e non di intrattenimento.

Un centrosinistra a favore delle speculazioni edilizie?

Hanno invece, e purtroppo, reagito in sorprendente quanto incauta controtendenza Roberto Cosolini e Maria Teresa Bassa Poropat, il Sindaco e la Presidente provinciale di Trieste,, dichiarando (assieme all’assessore regionale di centrodestra De Anna) la loro volontà di proseguire comunque e ad ogni costo nelle aperture ed occupazioni illegittime dell’area. Guarda caso, proprio come i loro predecessori di centrodestra, Dipiazza e Scoccimarro.

Mentre con le loro amministrazioni di centrosinistra dovrebbero essere i primi a difendere gli strumenti di lavoro portuale per tutta la città in crisi, e non le speculazioni edilizie ed immobiliari che li distruggerebbero a beneficio di privilegiati. Al punto che il Cosolini le ha sostenute addirittura con gli studenti accampati in piazza Unità a protestare indignati proprio per lo sconcio della politica e per la mancanza di lavoro e futuro.

Il fatto che in questi anni anche la classe dei politici locali, dalla destra alla sinistra, sia andata complessivamente scadendo oltre i record già penosi del passato è un’evidenza drammatica sotto gli occhi di tutti. Come la disoccupazione e la povertà crescenti in cui la pochezza, inerzia ed irresponsabilità di costoro ha lasciato scivolare la città senza tentarne doverosamente il solo rilancio realistico, che è appunto quello del porto, e senza a nemmeno adeguare le assistenze sociali al bisogno immediato tagliando le spese superflue.

Nelle loro campagne elettorali sempre più squallide e sul misero quotidiano colluso ci propinano invece quasi tutti, e da anni, soltanto chiacchiere da salotto e le loro liti banali, lasciando che in concreto la città e le loro stesse politiche vengano governate o condizionate da gruppi di potere trasversale incardinati proprio sulle speculazioni edilizie e sugli appalti.

Tanto che non è facile, e nemmeno compito nostro, accertare quanto del degrado politico locale, e di quali persone e partiti, sia dovuto ad incapacità politiche od a coinvolgimenti attivi o passivi in illeciti, né per quali motivi le indagini giudiziarie decisive in argomento finiscano puntualmente arenate od archiviate anche in presenza di prove documentali inoppugnabili.

 

L’emergenza lavoro concreta

In concreto, dei politici eletti a maggio si erano pronunciati ufficialmente a favore del Porto Franco soltanto Franco Bandelli, Polidori della Lega, i Grillini, Fabio Longo dell’Italia dei Valori, Marino Sossi e qualche altro della sinistra: se abbiamo dimenticato qualcuno, lo dica. Ed ora si vedrà anche se aumenteranno di numero, e se avranno assieme la lucidità ed il coraggio di aderire ad un fronte trasversale attivo per la difesa del porto (leggi qui).

Resa ormai palesemente inderogabile ed urgentissima da un’emergenza sociale ed economica sempre più estrema e travolgente, soprattutto per i disoccupati di mezza età,  i giovani ed i pensionati minimi, che impone di difendere con assoluta determinazione gli strumenti veri di lavoro possibile della città. In tanti o pochi che si sia, con la forza della legalità e senza sconti per nessun partito o personaggio politico corresponsabile.

 

Nuove diffide ufficiali ed un’inchiesta complessiva

L’A.L.I. provvederà quindi tra breve a notificare anche al Sindaco ed ai Presidenti della Provincia, della Regione, della Camera di Commercio e di Portocittà opportuni atti formali di diffida dal proseguire in attività, e gli enti pubblici anche in spese istituzionali, per l’urbanizzazione illecita del Porto Franco Nord.

Invitandoli pure a non ostacolare il ripristino tempestivo e per intero, già chiesto al Prefetto e Commissario, di tutti i tratti di cinta doganale sinora arbitrariamente violati in via provvisoria, compresi il Molo IV, le aree di parcheggio e l’annessa bretella stradale di Piazza della Libertà (inclusa nei progetti di rifacimento benché abusiva).

La Voce ha contemporaneamente in corso un’indagine giornalistica complessiva, dalla quale risulta già con documentata chiarezza che l’operazione speculativa illecita per occupare ed eliminare lo strumento portuale del Porto Franco Nord è stata sviluppata continuativamente attraverso più di dodici anni da una ‘cupola’ trasversale di interessi nazionali e locali. Con il compimento di attività strumentali coordinate che hanno causato da parte di più enti pubblici impieghi perciò tutti illegittimi di strutture e denaro pubblici per un valore di qualche decina di milioni di euro.

Sono fatti che hanno dunque precise e rilevanti implicazioni civili, penali ed erariali, di cui gli attori devono essere chiamati a rispondere sia per il passato, nelle sedi giudiziarie opportune, sia per il futuro attraverso le diffide a cessare tali attività.

 

La natura della truffa e le responsabilità giuridiche

In sostanza, questa ‘cupola’ di politici e privati sta tentando di cedere a terzi un bene pubblico che sanno indisponibile, costituito da un’area produttiva primaria locale, nazionale, europea ed internazionale, manipolandola in violazione di legge, per usi non consentiti, a profitto proprio ed in danno agli utenti legittimi.

E nello Stato di diritto, qual’è ancora e deve rimanere la Repubblica Italiana, se gli amministratori di un’area di proprietà pubblica (demaniale) che la legge vincola ad usi particolari utilizzano deliberatamente e con azione preordinata tale loro funzione e credibilità istituzionale per darlo in concessione a pagamento per usi diversi ed ostativi a quelli di legge, commettono reati pluriggravati di abuso d’ufficio e di truffa (perseguibili d’ufficio) sia nei confronti sia della collettività e dello Stato, sia dei destinatari e beneficiari degli usi legittimi, sia infine dei concessionari.

Se inoltre i vincoli di legge che rendono il bene indisponibile sono notori, e la loro violazione è pubblica, concorrono ai reati anche tutti coloro che non li impediscono avendo il dovere di farlo, oltre agli stessi concessionari perciò non considerabili terzi ignari di buona fede. Mentre le azioni concertate a fini illeciti di tutti i soggetti in esame configurano l’associazione per delinquere, e la continuazione ne esclude le prescrizioni brevi.

Infine, sono reati che non possono essere elusi o sanati, ma soltanto riconfermati ed aggravati, dalla pretesa e pressione ‘politica’, privata o addirittura pubblica, degli amministratori infedeli, e/o degli altri soggetti correi o comunque coinvolti, perché i vincoli di legge violati non siano fatti rispettare, o vengano rimossi, a seguito ed a causa paradossali della loro stessa violazione.

E questo è esattamente il quadro di ciò che ha fatto e continua a fare sinora impunemente la quasi totalità degli amministratori comunali, provinciali, regionali, e dei rappresentanti istituzionali, coinvolti nel caso in esame.

Venendo così meno agli obblighi fondamentali di fedeltà alla legge ed agli interessi della collettività, nel tentativo conclamato di violare vincoli sovraordinati da norme di diritto internazionale. Recepite e confermate sia dall’ordinamento italiano sotto garanzia costituzionale, sia in quello comunitario fondativo e specifico, a tutela del commercio internazionale ed a beneficio locale, nazionale ed europeo.

Il boccone speculativo edilizio ed immobiliare cui mirano è inoltre il più cospicuo dell’Italia settentrionale e di tutte le coste italiane: 70 ettari di superficie sul fronte mare cittadino (vedi foto aerea) con chilometri di moli banchine e dighe, 158mila metri quadrati di eleganti edifici storici, scalo ferroviario e grandi spazi liberi o liberabili anche a verde.

 

Un fermo invito ulteriore alla legalità ed alla ragione

Come gli articoli precedenti sul caso, anche questo di analisi e diffida pubblica oltre a venire diffuso con lancio stampa nazionale ed estero adeguato sarà segnalato direttamente alle mail nominative del sindaco e rispettivamente del presidente, degli assessori e dei consiglieri del Comune e della Provincia di Trieste, più quelli regionali presumibilmente più interessati. Sia come ulteriore, fermo invito alla legalità ed alla ragione, sia perché nessuno di loro possa fingersi ignaro della natura illecita dei fatti, né delle proprie corresponsabilità.

Ci permettiamo infatti di sperare ancora ragionevolmente, per la città e per essi, che si rendano conto in tempo utile di quali sono i loro precisi doveri e responsabilità personali in materia. E che incomincino ad agire legittimamente di conseguenza, invece di render necessarie anche nuove ed ancor più gravi denunce di illeciti.

 

Paolo G. Parovel

© 1 Novembre 2011

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