La Voce di Trieste

Porto Franco di Trieste: i testi dell’inchiesta-denuncia a Prefetto e Commissario del Governo ed alle Procure

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Inchiesta – documenti e commento

Pubblichiamo qui, come preannunciato, i testi dell’inchiesta-denuncia sulle violazioni del Porto Franco di Trieste che l’A.L.I. – Associazione Libera Informazione ha notificato questo 14 ottobre al Prefetto e Commissario del Governo, e depositato il 19 e 21 ottobre alle Procure della Repubblica e della Corte dei Conti. Si tratta di una lettura impegnativa, ma opportuna per chiunque voglia affrontare seriamente il problema.

Il primo atto (leggi qui) di 14 pagine, contiene infatti la sintesi ricostruttiva completa del caso con indicazione precisa delle illegittimità e delle frodi, anche alla luce della giurisprudenza italiana, ed invita il Prefetto e Commissario del Governo trarne le doverose conclusioni. Cosa che egli ha poi fatto il 21 ottobre dichiarando ufficialmente che la questione della sospensibilità o meno del regime di Porto Franco non è di competenza sua, ma ministeriale.

 

Il secondo atto (leggi qui) è invece la breve nota di trasmissione alle Procure per le indagini penali ed erariali di competenza, anche in relazione ad altre emersioni di ‘reti’ cittadine trasversali a copertura di illeciti. Richiamando perciò espressamente i procedimenti penali sui ‘cartelli’ locali degli appalti, conclusi con archiviazioni discutibili, e sulla vendita illecita di un terreno comunale all’allora sindaco Roberto Dipiazza, che risultano ancora senza esiti da due anni.

La durezza, la determinazione e lo stile dell’iniziativa potranno risultare inusuali, e forse imbarazzanti, a confronto con le chiacchiere vuote, le ipocrisìe ed le cronache da narcosi cui ci hanno abituati la sempre più vacua e scadente classe di potere locale, il suo quotidiano monopolista locale ‘Il Piccolo’ e troppi mezzi d’informazione minori. Ed anche, purtroppo, le pretese di tanti concittadini di poter ottenere rispetto e diritti senza mostrare il coraggio di esporsi ad appoggiare e combattere le battaglie civili.

Ma qui si tratta di incominciare finalmente a difendere sul serio, in concreto e prima che vada ancora peggio, le possibilità presenti e future di vita e lavoro reali della nostra gente e città per tutte le categorie, dai manovali ai supertecnici, dai dipendenti agli imprenditori, invertendo un destino di disoccupazione e miseria altrimenti certo, e reso visibile a tutti già dai cimiteri di negozi che sono diventate le vie cittadine.

Ed è evidente a chiunque che per Trieste le possibilità di vita e lavoro sufficiente per tutti stanno soltanto nel rilancio del Porto, sinora palesemente soffocato da una politica nazionale ostile e dai suoi esecutori e cortigiani locali. Tant’è vero che la contrazione, ed ormai il collasso, dell’economia della città ha sempre accompagnato quelli del porto. E la nostra carta vincente portuale è quella straordinaria del Porto Franco, perciò semisvuotato e fatto dimenticare da quella stessa politica ostile mentre in tutto il resto mondo porti franchi e zone franche prosperano più che mai.

Siamo arrivati al punto che tentano addirittura di portarci via la metà più attrezzata del Porto Franco in fondali, banchine, ferrovie magazzini e spazi, che è il Porto Franco Nord, o Punto Franco vecchio (“portovecchio”) urbanizzandola per consegnarla alla speculazione edilizia ed immobiliare per 70 anni, cioè per sempre. Ed in consorzio d’affari evidente con parti influenti della politica locale più squallida.

Lo fanno inoltre in violazione spudorata sia della verità che della legalità. Perché spacciano l’area per inutilizzabile, mentre è stata lasciata in abbandono apposta ed è attivabile in qualsiasi momento, come dimostra in sito il lavoro dell’Adriaterminal. Pretendono inoltre di compiere la frode attuando strumenti urbanistici ed una concessione che sono illegittimi e nulli sia per procedura (anche in violazione di norme europee), sia per aperta violazione del regime di Porto Franco che lo Stato italiano ha l’obbligo internazionale di mantenere.

E siccome sanno sin dall’inizio di agire illecitamente, tentano di imporci queste azioni illegali con pressioni politiche e di stampa, perciò illecite. Che pure il settimanale cattolico Vita Nuova sostiene sorprendentemente come campagna di propaganda ed intimidazione «in modo che si crei una sorta di movimento popolare contrario all’immobilismo. Tanto da spaventare quelli che militano nel partito, strisciante e “polipartisan”, del “No se pol”». Cioè per aizzare l’opinione pubblica contro chi difende la legalità ed il lavoro, imbottendola di disinformazioni e di proposte culturali e ludiche per convincerla falsamente che il regime giuridico di Porto Franco internazionale dell’area sia soltanto un «ostacolo allo sviluppo cittadino» perciò da eliminare ad ogni costo.

Ma anche se eliminarlo fosse giuridicamente possibile (e non lo è: si leggano i due atti qui pubblicati) da quando in qua, con che razionalità economica e con quale legittimità di pubblici bilanci si trasforma un sito produttivo pubblico attivabile, addirittura di Porto Franco, in paese dei balocchi per una classe dirigente che vive in una sua sfera di privilegi? Dentro la quale non è evidentemente toccata abbastanza dalla crisi che invece attanaglia e sta travolgendo la popolazione normale dei lavoratori dipendenti ed autonomi, dei pensionati e dei giovani, assieme alle loro famiglie.

E lo stesso vale per le proposte demenziali di trasferire il regime Punto Franco portuale sul Carso, senza neanche mare, o nella zona industriale (canale navigabile) od all’ex Aquila, senza moli, magazzini e ferrovie. Sono idee vecchie, che sono state già dimostrate impraticabili giuridicamente oltre che di fatto, e per toglierci il sito produttivo portuale ci toglierebbero anche siti produttivi industriali, rendendoli inutili a qualsiasi uso sino alla costruzione, in tempi indefiniti, di grandi infrastrutture equivalenti a quelle che già esistono nell’area originaria. E dunque con spese pubbliche di acquisizione ed attrezzatura enormi ed assolutamente ingiustificabili.

Nella caterva di lusinghe da asilo infantile con cui questa dirigenza locale privilegiata vorrebbe farci accettare il suo paese dei balocchi è particolarmente significativa l’offerta di passeggiate e bagni di mare nel porto, dove sono invece vietati per ovvi motivi igienici e di sicurezza. Perché non si attiva invece per liberare ed attrezzare sostenibilmente per cittadini e turisti il patrimonio costiero degli 8 chilometri della Riviera Triestina lasciati interrompere e monopolizzare illegalmente   con ville esclusive, infine frenate solo dalla Soprintendenza.

Infine, la struttura operativa ed organizzativa di questa truffa per rapinare Trieste del suo il Porto Franco Nord conferma, come segnalato alla Procura, che siamo di fronte ad un’ennesima operazione illegale promossa da ‘cupole’ trasversali di persone ed ambienti che controllano di fatto la città dietro le quinte della democrazia rappresentativa. Manovrandone politici e mezzi d’informazione come marionette consapevoli o meno, eludendo la giustizia con visibile facilità e facendo dimenticare anche precedenti giudiziari specifici.

Non vi sembra, insomma, che sia ora di dire BASTA, e di agire in concreto da cittadini e non più da sudditi anche a Trieste? Ma prima di rispondere, abbiate per favore la pazienza di leggere con attenzione i due documenti fondamentali di battaglia pubblicati qui. E se vi piacciono, aiutate anche a farli girare in rete il più possibile.

Paolo G. Parovel

© 24 Ottobre 2011

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