La Voce di Trieste

Dossier: il caso dell’organizzazione coperta italiana “Gladio 2”

Inchieste 1989-2001 ed aggiornamenti all’aprile 2011

La linea d’inchiesta consiste nell’individuazione, partendo dall’indagine storico-politica del neoirredentismo italiano rilanciato verso Slovenia e Croazia dal 1984-85, di una struttura riservata di Stato all’origine di queste operazioni e di loro ulteriori estensioni internazionali. Si tratta inoltre di operazioni che Roma non ha tuttora (2011) dismesso, nonostante preoccupazioni dissuasive euroatlantiche manifestate anche recentemente da Washington per le conseguenti turbative della stabilizzazione della regione ex-jugoslava e dei Balcani.

I risultati di questa linea d’inchiesta sono anche i più ostici ed imbarazzanti da accettare in Italia, dove la percezione dei problemi e delle operazioni al confine orientale è fortemente condizionata non solo da apposite coperture disinformative recenti, ma anche da un intero apparato di propaganda storico-politica consolidato a livello culturale da oltre un secolo, e rilanciato pesantemente dal 1996 per giustificare le operazioni attuali. La documentazione che offriamo qui si compone di due documenti essenziali. Il primo è un’analisi commissionata al giornalista investigativo Paolo G. Parovel dal Ministero degli Interni nel 1989. Il secondo è il suo specifico “dossier Gladio 2” prodotto ed acquisito nel 2001 agli atti del clamoroso processo c.d. “delle foibe” avanti la Corte d’Assise di Roma nei confronti di Oskar Piškulić ed altri (il processo dopo essersi dimostrato insostenibile finì annullato per incompetenza territoriale).

Poiché le due inchieste qui pubblicate risalgono al periodo 1989-2001, non sono aggiornate agli accertamenti sulla questione dell’attuale Free Territory of Trieste sviluppati dal 2013 e consolidati dal 2015 in studi ed iniziative specifici: LINK. Tali sviluppi non hanno modificato la valutazione delle strutture coperte qui esaminate, che hanno continuato ad operare anche in tale direzione con nuove iniziative di contrasto illegale.

1. Analisi del 1989 su richiesta del Ministero degli Interni

Questo documento si trova anche agli atti di indagini specifiche della magistratura ordinaria e militare italiana, nonché del processo c.d. “delle foibe” tra le produzioni difensive per la valutazione d’attendibilità di testi d’accusa e della conduzione delle indagini istruttorie da parte del PM Pititto.

Antefatto

Il 29 agosto 1989 l’avv. Bogdan Berdon presentò alla Procura della Repubblica di Trieste la richiesta di apertura ed indagine delle cosiddette “foibe” di Basovizza e di Monrupino, situate in territorio italiano. Ciò in quanto è sui presunti contenuti di queste due cavità che è stata imperniata, in chiave neo-irredentista, l’intera operazione storico-politica sulla vicenda regionale (Trieste-Istria-Fiume-Dalmazia) cosiddetta delle ‘foibe’.

Si tratta infatti di due cavità del Carso Triestino, in territorio italiano, alle quali sono stati accreditati contenuti di centinaia o migliaia di cadaveri di italiani asseritamente uccisi a Trieste e dintorni nel 1945 dai partigiani jugoslavi e dalla locale minoranza slovena: un numero quindi elevatissimo e maggiore di quelli accertati per tutte le foibe dell’Istria.

Invece di accertare la verità oggettiva sulle due cavità, negli anni ’50 le autorità italiane ne chiusero le imboccature con apparati monumentali, ed iniziarono ad utilizzarle come simbolo e sito politico commemorativo dell’intera vicenda delle “foibe”, anche a contrappeso delle opposte responsabilità italiane (fasciste, collaborazioniste e di Stato) testimoniate a Trieste dai monumenti dei partigiani sloveni ed italiani e dal lager nazista della Risiera di san Sabba, monumento nazionale.

In questa funzione anche le due cavità vennero dichiarate (per gradi, tra il 1980 ed il 1992 ) monumenti nazionali come se contenessero effettivamente i morti asseriti. L’apparato monumentale sulla “foiba di Basovizza” è stato ulteriormente ampliato nel 2009-2010 facendone meta di pellegrinaggi politici e scolastici da tutta Italia.

La richiesta del legale triestino si basava invece sulle risultanze contrarie di studi, analisi ed indagini accurati, in particolare dello storico prof. Samo Pahor e del giornalista investigativo Paolo G. Parovel, sia sui due siti che sulla questione complessiva dei crimini genocidi attribuiti ai partigiani sloveni e croati del 1941-45.

A seguito della richiesta di apertura il Ministero degli Interni italiano chiese documentazioni e relazioni in materia sia a Pahor e Parovel che ai sostenitori delle tesi opposte. Il 4.9.1989 Parovel consegnò la propria relazione, costituita da un “Promemoria” di 17 pagine con citazione delle fonti e 7 allegati, e ne produsse poi copia, in sede di interrogatorio, anche agli atti del procedimento accertativo aperto dalla Procura di Trieste sulla richiesta dell’avv. Berdon.

Tale procedimento non ebbe seguito poiché la Procura triestina riscontrò infondate le affermazioni di chi sosteneva la presenza delle vittime nelle due cavità. (confermando così i risultati delle ricerche Pahor e Parovel). Trascriviamo qui dal dattiloscritto originale il testo di Parovel:

testo della relazione Parovel del IX- 1989 al Ministero degli Interni

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promemoria sulla questione delle “foibe” – Analisi storico-politica

Premessa generale

La questione delle “foibe” consiste nell’accusa mossa alle forze plurinazionali dell’armata partigiana jugoslava di Tito di aver commesso un deliberato genocidio degli Italiani nei territori adriatici liberati (Istria, Dalmazia, Trieste, Goriziano) massacrandone un numero ingente (valutato secondo le fonti da 3-4.000 sino a 20.000) principalmente con il sistema di precipitarli in massa, vivi o morti, in profonde cavità carsiche naturali, dette appunto “foibe”.

Sulla base di quest’accusa l’esodo successivo di popolazione dall’Istria passata a sovranità jugoslava sarebbe stata reazione a tale genocidio e compimento politico di esso.

Il genocidio delle “foibe” sarebbe stato praticato a due riprese, nel 1943 in un breve intervallo di potere partigiano tra il crollo italiano dell’8 settembre e l’occupazione tedesca, e poi nel 1945 al momento della Liberazione, cioè alla fine della guerra o addirittura a guerra finita.

Quest’accusa complessiva di genocidio cruento (foibe) ed incruento (esodo) viene usata politicamente dal 1945 per delegittimare la sovranità jugoslava sui territori adriatici da essa acquisiti dopo la seconda guerra mondiale dall’Italia  (che a sua volta li aveva acquisiti dall’Austria-Ungheria dopo la prima guerra mondiale).

Tale sovranità viene infatti attribuita in questo modo al riuscito genocido della popolazione italiana residente in quei territori, la cui presenza aveva dopo il 1918 legittimato la precedente sovranità italiana.

Questa posizione politica attribuisce quindi diritti conculcati ai profughi (valutati tra le 180.000 e le 350.000 unità, secondo le fonti diverse) rifugiatisi in Italia ed altrove da detti territori; rifugiandosi in maggioranza in Italia, essi l’avrebbero riconosciuta quale madrepatria e tutrice dei propri diritti.

Da ciò deriverebbero all’Italia moderna diritti di sovranità sui territori adriatici in questione. Le forze politiche che sostengono tali posizioni tendono ad ottenere l’affermazione di detti diritti in conflitto con gli opposti diritti jugoslavi. Si tratta quindi di un argomento di potenziale e grave contenzioso tra i due Paesi.

In questa funzione esso ha trovato credito e sostegno, ufficioso ed ufficiale, in varie fasi della politica estera italiana ed occidentale verso la Jugoslavia e verso il blocco orientale, così come questioni affini in altre aree confinarie d’Europa.

L’uso di questo tema fu molto pesante negli anni del dopoguerra, sino a metà degli anni ’60. Negli anni ’60-70 esso fu scoraggiato sino quasi ad estinguersi di pari passo con la nuova politica italiana ed occidentale di apertura ed equilibrio verso la Jugoslavia.

A seguito degli accordi di Osimo (1975) e poi nel quadro delle nuove dinamiche politiche determinate dall’offensiva sovietica di rinnovamento, la questione delle “foibe” (assieme a quelle dei profughi e della minoranza italiana in Jugoslavia) è stata reinnestata (Trieste 1984-85) sull’onda della reazione antijugoslava consolidatasi dopo gli accordi di Osimo nella zona di confine, con l’avallo della gran parte delle forze politiche democratiche, di Enti locali (Comune e Provincia di Trieste, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia), di Autorità dello Stato (Prefetto di Trieste) e del Governo (Ministro della Difesa, Zanone; Presidente del Consiglio, Craxi, che fece anche pubbliche dichiarazioni critiche dell’assetto confinario di Trieste). Analoga operazione fu rilanciata a Gorizia, su questione affine riguardante persone deportate dai partigiani al momento della Liberazione.

Tale rilancio del tema lascia da tempo seriamente perplessi gli osservatori politici, in quanto contrasta con gli interessi e la linea di politica estera conseguente dell’Italia e dell’Occidente verso la Jugoslavia.

In questo quadro generale la questione delle “foibe” pone due distinti problemi, uno di analisi storica, cioè di verifica del se e come i fatti propagandati sussistano, ed uno di analisi politica, sull’uso di essi.

Breve premessa di inquadramento storico.

La questione rientra nel quadro delle lotte nazionali sviluppatesi nel tessuto etnico misto, slavo-romanzo, dei territori nordadriatici a partire dalla metà del 19º secolo, ed in particolare nella storia del movimento nazionale italiano. Per una sua corretta comprensione è quindi necessario tracciarne almeno il quadro generale.

La popolazione delle terre adriatiche nord-orientali è mista nelle sue componenti principali, romanza e slava, sin dal 6º secolo d.C., con successive complesse interazioni ed intersezioni dinamiche dovute ai commerci, epidemie, guerre (in particolare con i Turchi e tra Impero e Venezia): tra il 14º ed il 16º secolo si consolida un assetto di influenza e sovranità imperiale, e quindi centroeuropea, su Trieste, l’Istria interna, Fiume e parte della Dalmazia, e veneta sull’Istria costiera ed una parte delle isole e centri costieri dalmati.

In ragione di ciò e dei movimenti economici si consolidano a Trieste una prevalenza di popolazione romanza con forte e commista componente slava, e nell’Istria costiera (nelle città) nuclei urbani romanzi, anche se in buona parte di origine slava, inseriti, così come Trieste, in un retroterra che è in quasi assoluta maggioranza slavo (sloveno e croato); analogamente in Dalmazia, anche se con maggiore varietà d’influssi.

Con la creazione del porto franco absburgico a Trieste (1719) la città diventa meta di fortissima immigrazione dal retroterra mitteleuropeo e dall’area mediterranea, passando da 3-5.000 abitanti a 50.000 (1820), 150.000 (1850), 250.000 (1913). La maggiore corrente migratoria è formata da sloveni e croati del retroterra immediato, ma la koinè cittadina diverrà un dialetto di tipo veneto. Analoghe immigrazioni, meno massicce, formano le popolazioni moderne di Fiume-Rijeka e Pola (rispettivamente divenute porto franco e porto militare).

In questo tessuto complesso, passato interamente nel 1797 all’Austria (cui già Trieste apparteneva dal 1382, Gorizia e l’Istria interna dal 1500), con l’ 800 si sviluppa il movimento delle nazionalità, che tende a separarne le componenti principali romanze (italiano-veneta) e slave (slovena e croata).

Il movimento nazionale slavo, che si richiama ad un’identità ancora in corso di fondazione ed è inserito nel contesto austro-ungarico senza richiami esterni, assume caratteri di sviluppo, riconoscimento e conservazione delle proprie identità nazionali, sostanzialmente non espansivo né aggressivo.

Il movimento nazionale italiano, che invece si richiama al forte mito di Roma e sente il richiamo esterno dello Stato nazionale italiano in formazione oltre Adriatico, assume invece in breve caratteri espansivi ed aggressivi verso le etnìe slave, che tende a vedere come ‘barbari’ nemici della propria ‘latinità’, e quindi da soggiogare e convertire o scacciare.

Sviluppa quindi un’intensa azione di nazionalizzazione della popolazione, attraverso un complesso di strutture associative, d’istruzione, propaganda,  accompagnate da crescenti azioni violente, attentati terroristici ed opera di spionaggio militare, politico ed economico a favore del Regno d’Italia, dal quale arrivano cospicui finanziamenti segreti a dette attività.

Contemporaneamente il movimento nazionale italiano diffonde monopolistica-mente nella cultura italiana la propria visione ideologica del problema adriatico, praticamente incontrastata se non da rarae aves (Angelo Vivante, Sonnino).

Il movimento irredentistico che così si consolida ha per struttura portante un tipo di organizzazione massonica stranamente affine alle moderne deviazioni politico-finanziario-terroristiche della massoneria, ed è collegato operativamente ai Governi italiani tramite le strutture della massoneria nazionale di allora.

Questo nucleo diventa il centro del potere locale a Trieste ed in Istria, controllandone anche le amministrazioni pubbliche grazie al primo sistema elettorale censuario austriaco, che favorisce la rappresentanza delle città e dei ceti abbienti (a prevalenza italiana) sulla massa popolare rurale e cittadina (di nazionalità od origine prevalentemente slovena e croata).

Tale situazione ovviamente radicalizza su posizioni difensive e rivendicative sempre più accentuate il movimento nazionale sloveno e croato, che peraltro rimane ancora pacifico.

L’esito della prima guerra mondiale, che consegna questi territori al Regno d’Italia, consegna anche fatalmente il potere locale definitivamente in mano agli esponenti del nazionalismo italiano, i quali possono ora valersi dell’appoggio del proprio Stato nazionale, già culturalmente disinformato e strutturalmente  prevenuto verso gli sloveni ed i croati a causa della propaganda irredentistica e di guerra (così come verso i sudtirolesi).

Approfittando della nuova posizione il nazionalismo italiano adriatico dà inizio ad una vera e propria repressione degli sloveni e dei croati in nome dell’Italia; in questa funzione è antesignano nel finanziare e praticare il fascismo in Italia, e già nel 1920 le squadre in queste terre incendiano, saccheggiano, bastonano ed uccidono esponenti e popolani sloveni e croati.

Ciò fa sì che l’Italia sabauda, e poi ancor più quella fascista, siano viste dalle popolazioni slovene e croate annesse  (cioè dal 55% della popolazione della neocostituita ‘Venezia Giulia’) come oppressore e nemico nazionale, dando inizio alle prime resistenze armate, che saranno represse spietatamente.

L’Italia sabaudo-fascista, sempre sotto la guida e la spinta del nazionalismo locale adriatico, in breve proibisce l’uso delle lingue slovena e croata, chiude scuole, biblioteche, associazioni, italianizza forzosamente tutti i toponimi e quasi tutti i cognomi e nomi di persona non italiani (circa 500.000), sistematizza le violenze morali e fisiche sino all’incendio dei villaggi e case, agli internamenti, torture, processi e fucilazioni. Nelle scuole e nella cultura nazionale italiana la presenza dei ‘barbari’ slavi come estranei da cancellare diventa un concetto normale per le generazioni che si formano in quegli anni. Circa 100.000 sloveni, croati ed antifascisti se ne vanno profughi, soprattutto in Jugoslavia, Austria, Argentina.

Lo scontro tra fascismo e Massoneria mette tuttavia in crisi il rapporto tra il gruppo di potere nazionalista adriatico di tradizione irredentista massonica ed il regime; pur mantenendo forti posizioni nel fascismo, il gruppo incomincia quindi a spostare i propri interessi anche nell’antifascismo, movimento che è ulteriormente accentuato con la politica razziale contro gli ebrei (molti dirigenti del nazionalismo e fascismo adriatico iniziale erano di tale origine). Nasce così sia a Trieste che in Istria un antifascismo nazionalista italiano, che darà vita al CLN di Trieste e dell’Istria, numericamente debolissimo, mentre la massa popolare degli antifascisti sloveni, croati ed italiani entrerà nelle strutture partigiane comuniste e plurinazionali jugoslave.

Dopo il 1941 l’occupazione italiana e poi tedesca di ampi territori jugoslavi (vengono annesse all’Italia la ‘Provincia di Lubiana’, capitale slovena, e la Dalmazia occupate) è particolarmente feroce, e sino al 1945 provoca nei territori adriatici (Litorale) tra gli sloveni ed i croati ed anche tra antifascisti italiani complessivamente 45.000 morti, 7.000 invalidi, 95.460 arrestati, internati e deportati in campi di concentramento italiani e tedeschi, 19.357 case distrutte totalmente ed 16.837 parzialmente (per lo più interi villaggi), il tutto con atrocità in cui si distinguono sia italiani che tedeschi.

La lotta partigiana nel Litorale viene condotta dalle forze jugoslave, mentre i CLN già menzionati sono praticamente inesistenti sul piano militare. Al momento della Liberazione, effettuata dagli jugoslavi, gli antifascisti nazionalisti escono dalla clandestinità dando vita ad un nuovo movimento di tipo irredentista italiano, che identifica come nemico questa volta la Jugoslavia, padrona militare del territorio, e chiede il ritorno alla nuova Italia di tutte le terre già appartenute a quella sabaudo-fascista, mentre i vecchi e nuovi fascisti vengono lasciati operare come mano armata dell’operazione.

La parte slovena e croata e la base popolare antifascista italiana si oppongono a questa manovra, in cui vedono la vanificazione delle loro lotte ed il ritorno di un’oppressione nazionale e politica. Nel clima della guerra fredda del dopoguerra tuttavia il gruppo di potere locale nazionalista italiano riesce a prevalere grazie all’appoggio sia dello Stato italiano che degli alleati occidentali, in funzione anticomunista.

L’evento definitivo è dato dalla spaccatura dei comunisti triestini che nel 1948 (Cominform) si dividono tra filo-ed anti-jugoslavi. La parte filojugoslava si rifugia nei socialisti, mentre quella antijugoslava e filosovietica (Vidali) si assicura il controllo del PCI introducendovi anche propagande e persone nazionaliste molto vicine a quelle del vecchio gruppo nazionalista borghese-massonico.

In un clima di forte violenza, morale e materiale, Trieste ed ancor prima Gorizia vengono così riassicurate all’Italia, che sino agli accordi di Osimo continuerà a rivendicare anche territori istriani (‘Zona B’).

Negli anni ’70 il vecchio gruppo di potere nazionalista di tradizioni irredentistico-massoniche e legato sia al fascismo che all’antifascismo viene progressivamente esautorato nel nuovo clima di distensione verso la Jugoslavia, ed il suo potere trasversale sui partiti locali viene smantellato quasi per intero: si abbozza anche una politica culturale antinazionalista (Botteri ed altri).

La politica di distensione sbocca infine (1975) negli accordi italo-jugoslavi di Osimo, che consolidano la situazione confinaria territoriale ed aprono una nuova e stretta cooperazione economica di confine.

Ad essi si oppone il vecchio gruppo di potere locale estromesso, che sfruttando le posizioni tuttora mantenute (monopolio stampa del ‘Piccolo’, in particolare), i condizionamenti nazionalistici radicati di parte dell’opinione pubblica, contatti e sostegni in Italia ed all’estero, ottiene (1978) la maggioranza relativa dei voti (30%) con un nuovo partito (LpT) localpatriottico, e si reinsedia al potere.

Attraverso la gestione del riassorbimento lento di questa forza elettorale e dei suoi uomini nei partiti tradizionali, il gruppo di potere nazionalista massonico riesce a riportare l’intero schieramento politico, dalla destra sino alla sinistra compresa, su posizioni nazionalistiche avverse in diversa misura sia alla minoranza slovena che alla Jugoslavia, analoghe a quelle degli anni ’50.

Tali posizioni vengono abbracciate anche da settori rappresentativi degli Enti locali, dello Stato e del Governo (come negli anni ’50) in netto e tuttora non chiarito contrasto con la politica ufficiale italiana verso la Jugoslavia, politica che si ispira invece ad aperture europee e dichiara superato ogni contenzioso del passato.

In questa situazione, che è quella presente (VIII.1989) si inserisce il rilancio della questione delle “foibe”.

Il problema storico.

La ricerca storica sulle cosiddette “foibe”, così come su altre questioni delle ultime fasi della seconda guerra mondiale e della lotta partigiana, è stata trascurata per circa un quarantennio, nel quale l’argomento è stato abbandonato al monopolio propagandistico dei settori politici nazionalisti e neofascisti. La parte democratica ha ignorato la questione, spesso per calcolo politico, ad eccezione di pochi autori (Fogar, Miccoli, Apih, Maserati, B. Novak e altri) i quali ne hanno fatto disamina politico-morale più che analisi dettagliata.

In occasione del rilancio del tema (1984-85) si è iniziata infine tale analisi. Sono state esaminate, oltre alle citate scarse fonti di parte democratica, soprattutto le fonti nazionaliste, ponendone a confronto i dati, nonchè le notizie di stampa dal 1943 ad oggi; si sono iniziate analisi biografiche sui singoli nominativi delle persone elencate in dette fonti come ‘infojbate’ o comunque uccise dai partigiani; sono stati consultati archivi ed anagrafi e ricercati e sentiti testimoni.

Si tratta di lavoro ancora non concluso, ma l’analisi delle fonti ed il significativo campione biografico già esaminato consente già di tracciare un quadro abbastanza esatto della realtà storica della questione, che si è rivelata essere ciò che gli storici moderni chiamano un fattoide (cioè un fatto inventato o deformato, il quale attraverso la generale convinzione che sia vero produce effetti psicologici e comportamenti politici come se fosse realmente accaduto).

Ecco dunque quanto sin qui emerso.

Nel settembre del 1943, nel breve intervallo tra il crollo italiano e l’occupazione tedesca, in Istria ed in alcune località della Dalmazia (occupata dall’Italia nel 1941; lì la popolazione italofona era del 5%, concentrata in alcuni centri costieri) le forze partigiane catturano e sopprimono, generalmente dopo processi sommari, circa 300 tra i principali esponenti del fascismo istriano ed un centinaio di quello dalmato; numerosi altri fascisti fuggono in Italia con le famiglie, dando inizio al primo esodo dall’Istria (ed alle prime organizzazioni degli esuli), assieme alla popolazione dalmata di Zara, evacuata a causa degli intensi bombardamenti angloamericani.

L’analisi delle biografie degli uccisi nelle sopraddette azioni di guerra partigiana, riscontrabili in parte anche negli stessi necrologi pubblicati sulla stampa, rivela che si trattava di alti dirigenti del regime e di squadristi e miliziani responsabili delle persecuzioni ed atrocità commesse sia nel ventennio precedente che negli anni di guerra, ed attivi nella guerra antipartigiana, che attendevano l’arrivo dei tedeschi per riattivarsi al loro servizio. Per una parte dei morti furono usate come fosse comuni le “foibe” carsiche istriane.

Nelle esecuzioni vi furono certamente anche delle brutalità d’iniziativa personale, ed è verosimile – anche se non accertato – che ne siano rimasti coinvolti anche degli innocenti (soprattutto in Istria, dove faide famigliari e personali si erano sfogate anche durante il fascismo e poi sotto l’occupazione nazista). Il loro numero tuttavia non può essere elevato.

Si formano contemporaneamente in Istria unità della RSI, in particolare della milizia e della X Mas di Junio Valerio Borghese, la quale organizza anche un proprio servizio segreto con compiti d’informazione e propaganda; queste strutture repubblichine sono guidate dai fratelli Libero ed Italo Sauro (figli di Nazario Sauro) e si macchieranno sino al 1945 di reati ed atrocità gravissimi, alle dipendenze dei nazisti;  da un memoriale inviato a Mussolini da Italo Sauro, risulta che costui propose ai tedeschi la deportazione in Germania dell’intera popolazione slovena e croata del Litorale tra i 15 ed i 45 anni, e ottenne da essi (gen. Günther) per la lotta antipartigiana la direttiva di “uccidere più che si può uccidere”, riferita alla popolazione civile.

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Ambedue i fratelli Sauro sopravvissero alla guerra e sfuggirono all’epurazione, e furono attivi nel nazionalismo postbellico, assieme ad una quantità di personaggi analoghi

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I servizi della X Mas assieme a quelli nazisti organizzarono la riesumazione propagandistica degli uccisi, con ampio uso di foto raccapriccianti dei cadaveri semidecapitati e dei riconoscimenti da parte dei parenti.

Le prime pubblicazioni organiche di propaganda sulle “foibe” sono due: “Ecco il conto!” edita dal Comando tedesco già nel 1943, ed “Elenco degli Italiani Istriani trucidati dagli slavo-comunisti durante il periodo del predominio partigiano in Istria settembre-ottobre 1943” redatto nel 1944 per incarico del Com.te Junio Valerio Borghese, capo della X Mas, e dell’on. Luigi Bilucaglia, Federale dei Fasci Repubblicani dell’Istria, da Maria Pasquinelli, con l’ausilio di Luigi Papo ed altri ufficiali del servizi della X Mas.

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Maria Pasquinelli, agente dei servizi della X Mas, tuttora (1989) vivente. Iscritta al PNF dal 1933, appartenente alla Scuola di Mistica Fascista dal dicembre 1939 al 25 luglio 1943. Durante la guerra d’Africa, imbarcatasi come infermiera volontaria CRI, aveva tentato di raggiungere il fronte travestita da soldato, era stata scoperta a Cirene, reimpatriata ed espulsa dalla CRI.

Nel luglio del 1943 si trasferisce nella Dalmazia (occupata nel 1941) come insegnante alle scuole medie di Spalato; qui dopo l’8 settembre viene arrestata e rilasciata dai partigiani; entra nei servizi RSI, dove sarà attivissima (anche paracadutata in missioni informative nell’Alta Italia dove in contatto diretto con Borghese e Mussolini tenta di organizzare un fronte unico antislavo tra repubblichini e partigiani italiani); nel 1945, assieme ad altri agenti fascisti, prende contatto con i servizi alleati, e collabora con essi in funzione anticomunista; tra l’ottobre ed il febbraio del 1947 vive prevalentemente a Trieste, con viaggi frequenti a Milano e Pola, e collabora con le prime organizzazioni degli esuli istriani.

Il 10 febbraio 1947, giorno della firma del Trattato di Pace, per bloccarne l’applicazione, assassina a Pola il Brig. generale Robin W.L. De Winton, comandante inglese con il quale aveva una collaborazione informativa e legami sentimentali: processata a Trieste con grandi clamori da un Tribunale Militare Alleato, è condannata a morte nel marzo-aprile 1947. Le sue attività con i servizi alleati le valgono nel maggio 1947 la grazia, a firma del comandante supremo del Mediterraneo gen. Lee: più tardi verrà liberata, su istanza della vedova di De Winton; durante il processo elementi dell’ex X Mas organizzano un colpo di mano, poi non eseguito, per liberarla.

Luigi Papo, di Montona, tuttora vivente e politicamente attivo tra i profughi istriani. Fascista, è tra i primi ad entrare nella neocostituita milizia repubblichina istriana del 1943 sotto il comando di Libero Sauro; comanda il presidio di Montona e si rende responsabile di gravi crimini di guerra, in particolare nei rastrellamenti. Assume quindi particolari incarichi nei servizi d’informazione.

Arrestato e deportato nel 1945 dai partigiani nel campo di prigionia di Prestranek, in Slovenia, riesce a cavarsela e rientrare in Italia; qui entra in collaborazione coi servizi alleati e coi nuovi servizi italiani come principale redattore delle documentazioni e notizie sulle “foibe”;  dirige un ‘Centro studi adriatici’ a Roma ed è tra i principali dirigenti dei profughi istriani e dalmati assieme ad altri esponenti fascisti di analoghi trascorsi;  dispone di un cospicuo archivio ed è autore di numerosissime pubblicazioni di articoli anche a firma propria; il più recente e significativo sulle “foibe” compare sul n. 6-7. luglio-ottobre, di “Unione degli Istriani”, periodico dell’organizzazione omonima; la sua occupazione di copertura è quella di dirigente dell’Istituto del Brandy Italiano.

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Per quanto riguarda le notizie stampa, il loro esame rivela che è stata adoperata dai servizi di propaganda nazisti e fascisti la tecnica del rimbalzo tra agenzie stampa e testate di notizie che, senza mai fonti e testimonianze precise e rintracciabili, si arricchiscono ad ogni passaggio di dettagli raccapriccianti ed incrementi numerici dei morti; le notizie sono datate da Roma, Venezia, Milano, dove i servizi della X mas avevano uffici stampa.

Le tesi fondamentali dell’operazione propagandistica, tuttora in uso, del tentato ‘genocidio’  di “italiani innocenti”, “colpevoli solo di essere italiani”, da parte di “bande slavo-comuniste”, hanno la loro origine in queste prime elaborazioni dei servizi nazisti e fascisti.

Nell’aprile 1945 i dossiers sulle “foibe” vengono consegnati a Milano all’incaricato di Borghese, Bruno Spampanato (che ne farà largo uso giornalistico nel dopoguerra) ed in maggio alle nuove autorità italiane ed ai servizi alleati, assieme ad un successivo memoriale redatto a Milano dalla Pasquinelli e da altri fascisti istriani rifugiati; contemporaneamente un altro memoriale, più generale, viene redatto per gli Alleati da Borghese, loro prigioniero.

Contemporaneamente a Trieste, liberata militarmente dalle forze partigiane jugoslave (in cui militano sia partigiani delle diverse nazionalità slave che di nazionalità italiana, locali e della penisola, ed addirittura un certo numero di tedeschi) e da essi governata sino al 12 giugno 1945, e nel Litorale, erano stati eseguiti migliaia di arresti e circa 2000 internamenti temporanei in campi di prigionia. Tra questi, oltre ai fascisti e collaborazionisti, anche alcuni esponenti  dei già descritti CLN nazionalisti italiani, antijugoslavi.

Fu iniziata (come altrove in tutt’Europa ed in Italia) l’epurazione dei fascisti e collaborazionisti colpevoli di reati gravi ed atrocità con processi militari su denunce e deposizioni delle vittime.

Il complesso di tali provvedimenti rientrava ancora nella logica di guerra, poiché nel retroterra sloveno ed istriano i combattimenti con tedeschi ed unità fasciste erano ancora in corso, mentre gli angloamericani, con repentino voltafaccia antisovietico, in questo settore si preparavano ad un’ avanzata armata dall’Isonzo sino all’ex frontiera tra Regno d’Italia e Regno di Jugoslavia, cioè ad invadere il territorio jugoslavo. In pratica lo stato di guerra cessò nell’area appena a metà giugno 1945.

Nel marasma di quei momenti rimasero sicuramente coinvolti alcuni innocenti, e vi furono anche brutalità private, peraltro indagate e represse dalle stesse autorità partigiane. Fu in particolare il caso di un gruppo di sedicenti guardie popolari installatosi a S.Maria Maggiore, capitanato da certo Steffè: risultò formato quasi interamente da elementi di nazionalità italiana che nulla avevano a che fare con le forze partigiane; gli stessi arresti legittimi venivano effettuati su denunce e testimonianze di elementi locali, in maggioranza italiani: le forze partigiane venute da fuori non potevano infatti conoscere né persone, né fatti locali (così come prima i tedeschi, che ebbero per loro stessa ammissione a Trieste un numero di delazioni abnorme).

Nel complesso tuttavia vi furono, nel Litorale, tra giustiziati e deceduti in prigionia, circa 500 morti (italiani, sloveni e croati collaborazionisti) su una popolazione complessiva di quasi un milione di residenti, quindi una percentuale infinitamente minore del costo in vite umane dell’epurazione nella penisola italiana ed in tutta Europa, ed assolutamente non paragonabile alle già citate cifre delle vittime del nazifascismo.

Per alcuni dei giustiziati furono nuovamente adoperate come fosse comuni alcune foibe, così come in Italia (Altopiano del Cansiglio) ed altrove.

Nei primi giorni di maggio due grandi cavità erano state utilizzate come fosse comuni di caduti tedeschi e di alcuni militi fascisti, caduti nelle ultime battaglie, quelle di Opcina e Basovizza, che non si riusciva a seppellire altrimenti; si trattava rispettivamente della Bršljanovca, fojba 149 di Opicina campagna, detta anche fojba di Monrupino (circa 400 caduti tedeschi) e del Pozzo della Miniera, Bazovski šoht, di Basovizza (circa 300 caduti tedeschi, tra Wehrmacht ed SS, più militari fascisti); in quest’ultima cavità sembra che sia finito anche successivamente qualche giustiziato. Secondo alcune notizie, nel pozzo della miniera si troverebbero anche partigiani uccisi nel 1944 dai fascisti collaborazionisti ed altri caduti assieme ai tedeschi e fascisti nei sopraddetti ultimi combattimenti.

Per quanto riguarda gli arrestati e deportati cui si è già accennato, la quasi totalità di essi risulta dimostratamente rilasciata e rientrata ai propri domicili, od alla spicciolata od in gruppi, da località e per vie abbastanza distanti. Poiché la gente li aveva visti condurre via per le strade prigionieri in lunghe file, ma non li aveva potuti veder tornare ovviamente nello stesso modo e per le stesse vie, credette facilmente alla psicosi dell’ “infojbamento” diffusa non solo dai fascisti ma anche dal CLN nazionalista italiano per contrastare l’amministrazione partigiana jugoslava ed una possibile annessione alla Jugoslavia. Per tale motivo si trovano a tutt’oggi numerosi testimoni convinti di aver visto ‘portare in fojba’ centinaia di persone sotto i propri occhi.

Su questa base psicologica e materiale i servizi d’informazione e propaganda alleati ed italiani rilanciano già alla fine di luglio 1945 l’ “operazione foibe” ricalcando temi e contenuti dei dossier ereditati dai servizi fascisti e nazisti, dei quali riciclano anche numerosi agenti sia nell’operazione in sé che nelle organizzazioni dei profughi istriani (sfruttati anch’essi in chiave anticomunista ed antijugoslava sino ai giorni nostri).

Alla fojba 149, ribattezzata ‘di Monrupino’ ed al Pozzo della Miniera, ribattezzato ‘fojba di Basovizza’, vengono attribuiti morti in numero crescente, da alcune centinaia sino a 3.500-4.000; di nuovo viene adoperata la tecnica del rimbalzo di notizie tra agenzie stampa e testate controllate, di nuovo in particolare tra Roma e Venezia, con il rinforzo di reportages di inviati ‘speciali’ e relazioni ed atti di autorità amministrative.

Lo schema propagandistico ricalca quello fascista e nazista, come detto, ma definisce più chiaramente e definitivamente il concetto di ‘genocidio degli italiani’ come minaccia non solo incombente (concetto radicato nella gente dall’irredentismo e poi dal nazionalismo da decenni) ma attuata.

Le “foibe” diventano così la ‘prova’ delle giustezza e necessità dell’interpretazione nazionalista e razzistica della storia e dei rapporti interetnici locali come uno scontro per la vita tra ‘latini’ portatori della civiltà e ‘barbari’ sanguinari slavi. Questa concezione salda e legittima senza soluzione di continuità la tradizione irredentistica con il nazionalismo postfascista dei nuovi partiti ‘democratici’, trasversale ad essi dalla destra alla sinistra moderata.

Nel 1948, con la scomunica del Cominform di Stalin a Tito, questo nazionalismo si estende anche alla sinistra estrema, poiché il Partito Comunista di Trieste sotto la guida di Vidali per direttiva da Mosca sposa tutte le propagande antijugoslave, ed appoggia indirettamente i partiti nazionalisti italiani.

Per quanto riguarda gli accertamenti concreti sulle “foibe”, tra il 1945 ed il 1948 vengono fatti dei recuperi di corpi di militari e civili in varie cavità, ma non vengono toccate nè la fojba 149, nè quella di Basovizza; a Basovizza gli inglesi fanno un tentativo, ma dopo aver estratto pochi resti sia umani che equini desistono.

Nel 1949, sotto la guida del sindaco Michele Miani, di parte italiana ma non nazionalista, il Comune adotta una risoluzione per l’esumazione delle salme da Basovizza; ma le elezioni alla fine dello stesso anno consegnano il potere ai nazionalisti di Bartoli, e la risoluzione viene archiviata.

Tra il 1949 ed il 1957 anzi il Comune adibisce la ‘fojba’ di Basovizza a discarica di immondizie e materiali vari, propri e dell’Amministrazione militare alleata. In tal modo sui supposti morti si deposita una massa di altri materiali, anche bellici. Nel 1953 una ditta ottiene la concessione per il ricupero di metalli ed altro, e raggiunge i 225 metri di profondità su 256 complessivi del pozzo minerario senza trovare tracce sensibili di cadaveri; nel frattempo vengono respinte richieste dei tedeschi di esumare i propri morti dalla 149 e da Basovizza; negli anni successivi queste richieste si ripeteranno, appoggiate anche dall’Esercito Italiano (Comitato Onoranze Caduti), ma verranno sempre ignorate per volontà politica.

Nel 1958-59 Onorcaduti chiude con lastre cementizie provvisorie le due cavità, lastre costruite dichiaratamente (Andreotti, risposta parlamentare ad Almirante 4.12.1959) in modo da poter essere rimosse per una futura riesumazione.

Il nazionalismo locale si affretta invece a consolidare politicamente il monumento funerario così creatosi con cerimonie religiose (vescovo Santin) e politiche, e con la pubblicazione, nello stesso 1959, di un volume intitolato “Le deportazioni nella Venezia Giulia” contenente dei primi elenchi di deportati od ‘infojbati’.

È interessante osservare che da queso momento si consolida la definizione e l’immagine di ‘infojbati’ per tutti coloro che si ritengono esser stati uccisi, in qualsiasi momento tra il 1941 ed il 1945, dagli “slavo-comunisti”.

Nel 1961 la ‘foiba’ di Basovizza, divenuta meta di pellegrinaggio politico-propagandistico ed in particolare delle organizzazioni dei profughi, viene ulteriormente ufficializzata con un monumento verticale riportante lo spaccato della cavità con dati assolutamente infondati sul suo presunto contenuto in cadaveri: 500 metri cubi (recentemente corretti in 300) tra quota -198 e -228 (laddove la ditta già citata non ne aveva trovati a -225) su 256 metri di profondità complessiva del pozzo. La valutazione del numero dei morti tocca così le 1500 unità, ed altre 1000 vengono attribuite alla fojba 149. Il dato era significativamente ricavato da valutazioni propagandistiche della stampa del 1945.

Esce contemporaneamente una seconda edizione del libro di Bartoli (titolo:”Il martirologio delle genti adriatiche” con prefazione e “preghiera per gli infoibati” anche di Santin: contiene 4122 nomi di ‘infojbati’, cioè uccisi dagli jugoslavi.

Tale cifra è ottenuta elencando nomi di morti dal 1941 al 1945, dalla Dalmazia in su, non solo italiani, uccisi anche da tedeschi e fascisti;  molti nomi sono ripetuti; dei fascisti e collaborazionisti vengono celati i dati biografici politici ed i crimini commessi; nel complesso un buon 90% dei nomi risulta del tutto estraneo alla vicenda delle “foibe” [3]. Copia del libro viene solennemente murata alla base della lapide cementizia di Basovizza, e questa ‘fojba’ diventa da quel momento simbolo ufficiale di tutte le ‘foibe’ anche dell’Istria, dal 1943 al 1945, ed in tal veste onorata.

Con il successivo mutamento dei rapporti italo-jugoslavi la questione delle ‘foibe’ come sopra già accennato, si estinse lentamente, per essere poi rilanciata dopo Osimo, ad opera del movimento nazionalista rinato ed in particolare della LpT.

Nel 1980 il Ministero per i Beni culturali ed ambientali su pressione politica ne decreta l’erezione a ‘monumenti di interesse nazionale’ (non monumento nazionale come la Risiera, cui i nazionalfascisti oppongono appunto le ‘foibe’) aprendo la strada ad un nuovo coinvolgimento propagandistico degli Enti locali e delle Autorità dello Stato e del Governo.

Nel 1984-85 iniziano sulla ‘fojba’ di Basovizza, ed a latere sulla 149, solenni onoranze ufficiali, con la presenza dei militari e di autorità sempre più elevate.

Nel 1987 gli ex combattenti (compresi i repubblichini) con l’aiuto dei militari erigono un altro monumento verticale dedicato stavolta a “tutti i caduti, italiani e stranieri” che si ritengono giacere lì, cioè esplicitamente anche ai nazisti ed ai fascisti: alla cerimonia partecipano le massime autorità locali e regionali ed il Prefetto.

Nel 1988 e 1989 (peraltro in campagna elettorale) viene ad onorare la ‘fojba’ di Basovizza il Ministro della Difesa (Zanone); il Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, Biasutti, dichiara ufficialmente che la minoranza slovena avrà la propria legge di tutela soltanto dopo che i sindaci dei comuni sloveni della Provincia di Trieste saranno venuti ad onorare la  fojba di Basovizza con la fascia tricolore (cioè ad accettare la ‘colpa storica’ ed ‘etnica’ ereditarie del ‘genocidio’).

Nell’agosto del 1989, pochi giorni prima dell’incontro a Venezia dei Presidenti della Repubblica e dei Ministri degli Esteri jugoslavi ed italiani, la questione ‘foibe’ viene risottolineata contemporaneamente (e, secondo alcune analisi, concordemente): in Jugoslavia dal dissidente Vladimir Dedjier, con una denuncia al Tribunale Russel, costruita su dati storici falsi; dalle organizzazioni nazionalistiche istriane; dal PCI che, con gesto a sorpresa smorzato da una contemporanea onoranza alla Risiera (campo di prigionia e sterminio nazista, l’unico in Italia) e ad Arbe-Rab (campo di concentramento italiano) e da motivazioni genericamente pacifiste, per la prima volta depone fiori sulla ‘fojba’ di Basovizza; nella delegazione c’è anche il senatore sloveno del PCI. La ‘strage degli innocenti’ nelle foibe (assieme ai colpevoli, peraltro non sottolineati) viene rimarcata in successivi interventi stampa del PCI sul tema.

Con le onoranze rese dal PCI l’accreditamento del ‘genocidio delle foibe’ diventa completo, poiché riconosciuto almeno in parte da coloro stessi che ne vengono indicati come colpevoli, cioè gli ‘slavo-comunisti’. La gestione della vicenda in tal senso è già iniziata nello stesso mese di agosto, come evidenzia la rassegna della stampa locale. Il fatto sta provocando nella base comunista triestina una spaccatura minore ma strutturalmente analoga a quella del 1948.

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Nota: la presente sintesi è ovviamente, per motivi di spazio ed organizzazione logica, lacunosa su molti dettagli significativi. Si allegano comunque alcuni documenti.

Per approfondimenti ulteriori si vedano in particolare:

impostazione della storia del nazionalismo adriatico:

– Angelo Vivante, Irredentismo Adriatico, Firenze 1912, rist. Trieste 1985.

– Manlio Cecovini, Appunti per una storia della Massoneria Triestina, in: Rivista Massonica, n.1.- gennaio 1976 (LXVII vol., XI nuova serie)

– Angelo Gratton, Trieste segreta, Trieste 1948, rist. Trieste 1988.

precedenti valutazioni ed analisi sulle ‘foibe”:

– Ennio Maserati, L’occupazione jugoslava di Trieste (maggio-giugno 1945), Udine 1966

– Galliano Fogar, Foibe e deportazioni nella Venezia Giulia, in:  Qualestoria, nov. 1983, anno XI, n. 3.

– Giovanni Miccoli, Risiera e foibe – accostamento aberrante, in: Bollettino dell’Istituto regionale per la storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, 1.4.1976. anno 4º, n. 1.

– nonché, di parte nazionalista, in particolare:

Ecco il conto! edito dal Comando tedesco nel novembre 1943.

– Gianni Bartoli, Il martirologio delle genti adriatiche, Trieste 1961.

Foibe, una tragedia istriana, AA.VV, edito dall’Unione degli Istriani, Trieste maggio 1988.

– Luigi Papo, Foibe, una tragedia istriana – i dati di uno studio appena ultimato, in: Unione degli Istriani,  luglio-ottobre 1988, anno VII, n. 6-7.

per l’inserimento della questione nel quadro generale del nazionalismo e neofascismo postbellici:

Nazionalismo e neofascismo nella lotta politica al confine orientale 1945-75, AA.VV:, Istituto per la storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, Trieste  1976.

Un nuovo lavoro storico sulle foibe, nella prospettiva e con i dati sopra in sintesi esposti, più altri in elaborazione, è in preparazione da parte dello scrivente e di alcuni studiosi particolarmente preparati.

Per il momento vedasi: prof. Samo Pahor, Openska Bršljanovca in bazovski šoht, in: Naši Razgledi, 25.12,1987, Ljubljana.

Per quanto riguarda i crimini commessi in tempo di pace nel Litorale dai nazionalisti e dai fascisti, e poi per quelli commessi in tempo di guerra dopo l’invasione della Jugoslavia da fascisti e tedeschi (1941-45) è disponibile una massa di pubblicazioni di grande dettaglio, nonché gli elenchi dei criminali di guerra italiani. È È reperibile su richiesta in tempi brevi, ma necessita di traduzioni. Si tratta di dati praticamente sconosciuti non solo all’opinione pubblica ma anche alla storiografia italiana, che li ha rimossi o evitati con cura.

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elenco dei documenti allegati:

Alcuni documenti particolari sulla questione delle ‘foibe:

– prof. Samo Pahor, Openska Bršljanovca in bazovski šoht, in: Naši Razgledi, 25.12,1987, Ljubljana, con allegata traduzione italiana non collazionata.

Ecco il conto! edito dal Comando tedesco nel novembre 1943.

Annunci mortuari di epurati del 1943 con qualifiche, tra cui quelle di squadrista e sciarpa littoria; requisiti per le medesime qualifiche (da Atti del PNF, vol. VIII tomo 28 e 29 ott. a XVII).

Smentita del Comando dell’VIII Armata Britannica 30-31.7.1945

Casi significativi di presunti ‘infoibati’ a Trieste: l’Ispettorato di Polizia di via  S.Michele 18:

notizie sull’attività dell’Ispettorato (Galliano Fogar, Sotto l’occupazione nazista nelle provincie orientali, Trieste 1961, pag. 212 e 213);

nominativi di ‘infoibati’ come riportati da Gianni Bartoli negli elenchi di Martirologio delle genti adriatiche – le deportazioni nella Venezia Giulia, Fiume e Dalmazia, Trieste, 1961;

elenco del personale dell’Ispettorato di via San Michele (dall’archivio dell’Istituto Regionale per la storia del Movimento di Liberazione).

Foibe, una tragedia istriana, AA.VV, Unione degli Istriani, Trieste 1988 – reperibile presso l’omonima associazione.

Luigi Papo, Foibe, una tragedia istriana – i dati di uno studio appena ultimato, in: Unione degli Istriani,  luglio-ottobre 1988, anno VII, n. 6-7, reperibile presso la medesima associazione.

————fine testo dattiloscritto relazione Parovel IX. 1989 a Mininter————

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2.  Il dossier “Gladio 2” del 2001 al Processo d’Assise

Il dossier, prodotto e depositato da Parovel nel 2001 per la difesa nel processo Piškulić c.d. “delle foibe” a Roma, si avvale di oltre vent’anni di analisi, già in parte riassunte anche nello studio Italia-Slovenia-Croazia: il problema delle relazioni storiche e politiche al confine orientale, redatto nel 1995 per il gruppo dell’allora PdS al Senato su richiesta del sen. Darko Bratina, tradotto e pubblicato in Slovenia nel 1996 sul Delo e poi nel volume Velika prevara na slovenski zahodni meji – dosje Italija, con presentazione alla presenza ufficiale di tutte le rappresentanze diplomatiche accreditate.

Si tratta comunque di analisi generali e di dettaglio tuttora (2011) in aggiornamento continuo, perché le linee operative individuate sono potute proseguire grazie a due circostanze indotte: il blocco totale in Italia di tutte le notizie diffuse o pubblicabili in argomento, e la paralisi politica  di qualsiasi resistenza efficace da parte dei governi di Slovenia e Croazia.

Le operazioni analizzate risultano concrete, documentate e strutturate in un disegno consequenziale, e materializzate anche in provvedimenti legislativi, sino a dar corpo all’unico revisionismo di Stato in Europa, e dal 2008 anche ad un coordinamento politico a gestione italo-tedesca di tutti i movimenti revanscisti dal Baltico al Mar Nero (UESE/EUVP/EUEEP).

La struttura operativa che emerge dall’impianto analitico del dossier risulta politicamente radicata nell’estrema destra, anche eversiva, ma con metastasi nelle sinistra e connessioni d’area potenzialmente mafiosa.

Su tutte queste attività vi sono perciò ovvie attenzioni politiche e di intelligence nelle sedi euroatlantiche di pertinenza, sia per i rischi di destabilizzazione politico-economica in sé che per gli intrecci d’interessi mafiosi alle stesse destabilizzazioni.

In Italia invece, e nonostante l’evidenza dei fatti, l’intero problema viene tenacemente eluso o addirittura negato anche da analisti e pubblicazioni accreditati, come quelli del gruppo e rivista Limes di Lucio Caracciolo.

Singole iniziative di colleghi o testate (P. Rumiz sul Piccolo nel 1993, Liberazione nel 1996) sono stati immediatamente troncati, ed i pochi che insistono a volerne scrivere vengono isolati e ‘cancellati’ dalla stampa ufficiale. A conferma che sull’argomento viene applicato in Italia uno stretto ed attento regime trasversale di censura.

È grazie a queste censure nei confronti della dissidenza storica e politica italiana ed all’impiego di coperture istituzionali ed ingenti mezzi finanziari che l’operazione revisionista e neoirredentista ha potuto avere successo propagandistico totale in Italia, sia nell’ambiente mediatico che politico ed intellettuale, sino a far credere verità storica infine rivelata delle vecchie propagande di parte altrimenti evidenti. Ma a questo successo ha contribuito dall’esterno l’inerzia indotta dei governi sloveni e croati (v. anche il dossier “Roma Connection”).

Gli sviluppi più dannosi di queste operazioni insensate di Roma sono stati sventati sinora, come già accennato, soltanto da Washington: nel 1993 e 1995 scoraggiando riservatamente velleità militari nel conflitto che impegnava la Croazia, nel 1996 col noto intervento diretto del Presidente Clinton sul neopremier Prodi perché sbloccasse il veto di Roma all’ingresso della Slovenia nell’UE, e più recentemente con la richiesta di far cessare le politiche italiane di ritardo diretto ed indiretto  (attraverso politici sloveni) all’ingresso europeo della Croazia.

L’operazione giudiziaria anomala del processo “foibe” in cui si inserisce il dossier è consistita, in buona sostanza, nella trasformazione acritica di evidenti propagande politiche (fornite dal piduista siciliano avv. Sinagra e suoi sodali) in ipotesi di reato da parte del PM di Roma Giuseppe Pititto.

Si tratta del medesimo titolare, sino al 1997, dell’inchiesta sull’assassinio di in Somalia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che indagavano su traffici d’armi e rifiuti tossici gestiti tra mafie e presumibilmente servizi devianti. Le valutazioni sulla conduzione di una delle due indagini può quindi giovare a quella sulla gestione dell’altra.

Le indagini della Procura di Roma a seguito dell’acquisizione processuale in Assise del dossier sulla “Gladio 2” non hanno avuto esiti noti. Alcune querele connesse sono state archiviate prima che se ne potesse discutere nel merito. In un processo su precedente querela del PM Pititto nei confronti di Parovel sono inspiegatamente scomparsi dal Tribunale di Roma tutti gli scatoloni dell’indagine Pititto contenenti le prove della verità delle asserzioni di Parovel, ed anche questo procedimento è stato azzerato senza affrontare il problema della struttura coperta.

Quanto ai media, anche durante il processo d’Assise c.d. “delle foibe” le notizie pur clamorose sulla denuncia documentata in aula dell’esistenza della c.d. “Gladio 2” sono state censurate da tutta la stampa italiana, salvo un paio di trafiletti e la trasmissione in diretta delle udienze da parte di Radio Radicale.

E logica vuole che l’esistenza constatata di censure sistematiche per particolari notizie implichi, ed in questo senso comprovi, l’esistenza di una struttura censoria che abbia rango, poteri e scopi adeguati a tale risultato.

Vi proponiamo dunque qui di seguito il testo integrale (senza allegati) del dossier “Gladio 2”, che è da tempo anche agli atti, con le documentazioni attinenti, di altri procedimenti giudiziari sia ordinari che militari, ed all’attenzione di colleghi specializzati e dei pertinenti centri d’analisi in Italia ed all’estero.

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Dossier “Gladio 2” agli atti del processo Piškulić c.d. ‘delle foibe’.

I. Corte d’Assise di Roma, procedimento penale n. 14/2000

udienza 09.05.2001 – acquisito in atti come da verbali, videoregistrazione e successiva ordinanza specifica della Corte

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All’egregio avvocato Livio Bernot, difensore dell’ufficiale partigiano jugoslavo magg. Oskar G. Piškulić

nel procedimento penale Nº 14/00 R.G. avanti la I. Corte d’Assise di Roma

relazione da indagini attinenti il processo.

Egregio Avvocato,

Le riassumo nella presente relazione, ai fini processuali, le risultanze delle mie informazioni ed indagini specialistiche, quale giornalista investigativo nonché analista e ricercatore storico, su alcuni fatti e vicende connessi al procedimento penale in epigrafe, cosiddetto “delle foibe”, i quali appaiono di eccezionale rilievo e gravità ai fini di giustizia.

Dette risultanze sono frutto di oltre 15 anni di indagini ed analisi sugli ambienti che hanno promosso il procedimento penale di cui trattasi nonché di quelle specifiche su di esso, in particolare per quanto riguarda la fase istruttoria e la costruzione delle imputazioni per le quali l’imputato viene ora processato.

Le relative documentazioni analitiche si trovano depositate da tempo in sedi giornalistiche, istituzionali e giudiziarie italiane ed estere, e sono state da me già parzialmente tradotte in perizie per il Ministero degli Interni e per il Parlamento italiani, nonché pubblicate in Italia ed all’estero sia in articoli di stampa quotidiana che in volume, come più sotto specificato nella presente relazione.

Mi assumo personalmente ogni responsabilità anche di quanto qui stesso affermato.

1. Sintesi delle risultanze

Dalle sopra dette indagini è emerso che da oltre un decennio le relazioni di Stato e di Governo della Repubblica Italiana con le Repubbliche di Slovenia e di Croazia vengono influenzate, e nella sostanza dirette, da un’organizzazione segreta di poteri trasversali che opera in violazione penale della legge n.17/82.

La sua influenza si esplica infatti interferendo con organi costituzionali dello Stato e del Governo, allo scopo e con il risultato di modificare la politica interna ed estera del nostro Paese verso i due Paesi amici ed in danno della sovranità ed indipendenza di questi.

Per la propria struttura e natura detta organizzazione viene indicata dagli analisti specializzati con la denominazione convenzionale di “Gladio 2“; a differenza dall’organizzazione “Gladio” propriamente detta, questa non ha tuttavia i fini politico-militari difensivi propri di un’organizzazione “Stay behind”, ormai inattuali, ma scopi di eversione politica interna ed estera contrari all’ordinamento ed agli interessi dell’Italia democratica.

Le prime segnalazioni documentate circa l’esistenza ed operatività di quest’organizzazione vennero perciò formalizzate nel 1989 alla magistratura veneziana (dott. F. Casson) in relazione alle inchieste sulla strage di Peteano e sulla “Gladio”, e dal 1993 ad altra sede giudiziaria italiana relativamente a connessioni con eventi della guerra civile in Jugoslavia nonché a devianze dei servizi segreti italiani

Nell’ambito delle predette indagini più generali rientrava anche l’iniziativa di denuncia che è all’origine del presente procedimento, nel quale si evidenziò sin dal 1996 una conduzione assolutamente anomala della fase istruttoria da parte del PM dott. Giuseppe Pititto.

Tale conduzione anomala consisteva in evidenti forzature ed omissioni d’indagine al fine di tradurre in giudizio gli indagati, tra i quali il magg. Piskulic, benché in assenza assoluta di prove, accreditando con clamori di stampa in nome della Giustizia italiana falsificazioni storiche grossolane e testimonianze generiche del reato, tutte fornite da fonti palesemente inattendibili e/o notoriamente di parte, senza tener conto delle pur disponibili ed acquisite testimonianze e documentazioni contrarie che, a comprova, dovrebbero tuttora trovarsi agli atti dell’indagine.

A ciò si aggiungevano contestuali violazioni dei diritti difensivi degli indagati ed il loro linciaggio massmediale sulla base di frequenti dichiarazioni stampa del PM Pititto accompagnate dalla pubblicazione di notizie segrete dell’indagine.

L’azione giudiziaria risultava in tal modo funzionale a già note operazioni politiche predisposte, avviate e condotte dalla cosiddetta “Gladio 2“, consentendole di servirsene – a tutt’oggi – quale proprio strumento propagandistico per accreditare la tesi revisionistica di un credito storico e morale dell’Italia verso la Slovenia e la Croazia quale giustificazione di una politica di rivendicazioni verso tali due Paesi.

Tali circostanze furono perciò oggetto sin dal 1996 di una nuova denuncia penale documentata, includente l’esistenza ed attività dell’organizzazione segreta e rivolta alla magistratura romana con segnalazione contestuale al Consiglio Superiore della Magistratura ed ai Ministeri competenti.

Nel processo d’Assise si sono resi evidenti da parte degli ambienti promotori ulteriori, pesanti indirizzi e strumentalizzazioni propagandistici accompagnati da intimidazioni dirette e collaterali al difensore, a fronte, nel concreto giuridico, di una persistente mancanza di prove a sostegno delle imputazioni.

Tali recenti circostanze sono valse da conferma del quadro d’indagine ed analisi complessivo più sopra delineato, ponendo a mio personale avviso un problema di difesa non solo dell’imputato, ma anche della dignità e credibilità della Giustizia italiana ed in generale delle istituzioni democratiche del nostro Paese.

Preciso pertanto qui di seguito, in necessaria sintesi, le suddette risultanze limitatamente a quanto più direttamente inerente il procedimento penale in corso, sulla base delle già richiamate e più sotto specificate documentazioni.

2. Caratteristiche strutturali della cosiddetta “Gladio 2”.

Dalle indagini ed analisi sinora svolte la cosiddetta “Gladio 2” risulta documentatamente:

– organizzata nel 1983-84, in coincidenza temporale con la nomina dell’amm. Fulvio Martini a capo del SISMI e con i primi segni della prevista crisi dissolutiva della RSF di Jugoslavia;

– “coperta” dai servizi italiani, che non ne avrebbero mai fatta segnalazione istituzionale pur avendone doverosa competenza;

–  inspiegatamente protetta a livello giudiziario;

– operativamente attiva dal 1985 al confine orientale (Trieste-Gorizia) anche sulla base e con il concorso di precedenti strutture analoghe (per la cui valutazione vedasi in particolare le risultanze collaterali delle inchieste della magistratura veneziana su Argo 16 – G.I. Mastelloni e sulla strage di Peteano, G.I. Casson);

– radicata nella destra politica ed eversiva, ma estesa trasversalmente con referenti o comunque appoggi attraverso l’intero schieramento politico italiano sin dentro la sinistra ex comunista;

– favorita nelle proprie operazioni da collaboratori politici appartenenti od appartenuti ad ambienti eversivi e/o a poteri trasversali già protagonisti di note vicende politiche e/o giudiziarie italiane, come l’estremismo di destra, la loggia illegale P2 ed altre devianze pseudomassoniche,  l’Opus Dei, e reti d’affari internazionali dell’ex PCI;

– dotata di anomala, vastissima e documentata influenza trasversale sui mass media italiani;

– operante in connessione o convergenza con interessi potenzialmente eversivi e criminali in particolare nell’ambito della c.d. “internazionale nera” (promotrice dei revisionismi storici e politici europei), nonché delle nuove mafie ex-comuniste e di quelle tradizionali italiane ed estere favorite dai processi di destabilizzazione dell’area ex jugoslava;

– infiltrata nell’ex Jugoslavia, in particolare in Croazia ed in Slovenia, dove alcune sue attività sono risultate connesse al conflitto interjugoslavo, ad ingenti riciclaggi e ad altri traffici internazionali illeciti.

3. Finalità

L’esistenza e l’attività della “Gladio 2” sono risultate finalizzate a realizzare la massima penetrazione politico-economica italiana nei territori adriatici delle Repubbliche ex jugoslave di Slovenia e di Croazia appartenuti all’Italia de facto dal 1918 al 1943 e de jure dal 1920 al 1947: Istria, ed in misura minore Slovenia meridionale e Dalmazia, imponendovi gradualmente una sorta di protettorato politico, e politico-militare, sia in vista di un riassorbimento italiano di fatto dei predetti territori avvalendosi dell’imminente apertura europea dei confini e dei mercati dei due Paesi, sia in previsione di tensioni e reazioni difensive slovene e croate indotte da tale penetrazione.

Le rivendicazioni propagandistiche su un asserito genocidio degli italiani un tempo colà residenti (esodo, “foibe”) hanno lo scopo fornire una giustificazione storica e morale a tali politiche di penetrazione.

È a questo scopo che si è tentato di consolidare tali tesi di propaganda politica attraverso iniziative giudiziarie che potessero trasformarle ingannevolmente in fatti processuali; ed è a tale operazione che si è prestato, inconsapevolmente o meno, il PM Pititto (ora rimosso sia dal processo che dalle funzioni requirenti) dando così origine al presente processo.

4. Metodologia operativa

Ai fini descritti l’attività illegale della “Gladio 2” risulta iniziata, come già accennato, dalla metà degli anni ’80, con il riaccreditamento, rilancio, rifinanziamento in Italia e l’infiltrazione nella RSF di Jugoslavia di organizzazioni ed ambienti nazionalistico-irredentistici del confine orientale (Trieste, Gorizia) e collegati.

Si trattava, e si tratta, di forze politiche anche eversive create e sostenute nel dopoguerra da uffici riservati dello Stato italiano (si vedano in particolare le già richiamate risultanze delle inchieste giudiziarie Argo 16 e Peteano), e messe in sonno dagli anni ’70 in previsione e poi attuazione del Trattato italo-jugoslavo di Osimo.

Tali organizzazioni ed ambienti hanno fornito notoriamente anche la quasi totalità dei promotori e dei testi d’accusa e di parte civile del presente procedimento penale; non poche di esse si sono inoltre costituite parte civile con avvocati di propria fiducia ed hanno usato la propria influenza politico-elettorale per ottenere la costituzione di parte civile di amministrazioni ed istituzioni pubbliche (poi con esse espulse dal processo).

L’interferenza illegale della “Gladio 2” su organi costituzionali italiani si è invece concretata gradualmente attraverso la trasformazione delle rivendicazioni dei suaccennati ambienti ed organizzazioni estremistici di confine in politiche estere ufficiali dell’Italia verso la RSF di Jugoslavia ed i suoi Stati successori di Slovenia e Croazia, in direzione opposta ai processi di apertura europea inaugurati dal 1975 con il Trattato di Osimo.

In tal modo dopo la dissoluzione della RSF di Jugoslavia, cioè dal 1991 ad oggi, detti organi costituzionali della Repubblica Italiana sono stati indotti, anche sotto forte quanto anormalmente pervasiva copertura massmediale, ad avallare ed attuare la menzionata penetrazione politico-economica in Slovenia e Croazia.

Tale penetrazione si svolge tramite speciali attività informative, politico-diplomatiche ed economiche.

Le attività informative, associate a pressioni politico-diplomatiche, risultano aver prodotto in particolare una serie continua di inspiegati cedimenti politici del governo centrale sloveno e di autorità regionali dell’Istria croata.

Le attività politico-diplomatiche mirano a produrre la decadenza consensuale di fatto (“superamento”) delle clausole dei Trattati inerenti le cessioni territoriali predette (Trattato di Pace del 1947, di Osimo del 1975 ed accordi attuativi), ed hanno a tal fine come capisaldi:

– le propagande, attraverso vaste ed incontrastate campagne disinformative massmediali ed iniziative giudiziarie d’appoggio, sull’asserito genocidio (“foibe”, esodo) attuato dagli sloveni e croati contro gli italiani nel 1943-47, ed il contestuale silenzio sulle politiche genocide ed i crimini di guerra  compiuti dall’Italia contro gli sloveni ed i croati dal 1918 al 1945.

– La “restituzione” unilaterale (cioè senza accordi bilaterali) a cittadini sloveni e croati in territorio sloveno e croato della cittadinanza italiana da essi definitivamente rinunciata o perduta con le opzioni previste dai menzionati Trattati del 1947 e 1954; tale restituzione vìola i Trattati predetti, il diritto internazionale in materia di cittadinanza e (in forza di circolari ministeriali riservate) la stessa legge italiana n. 91/1992 applicata per concederla, stante che essa esclude tale possibilità.

– La riapertura, anche sotto forma di diritto di accesso privilegiato al mercato immobiliare sloveno e croato, della questione dei beni italiani “abbandonati” nei due Paesi a seguito della guerra; tale riapertura vìola i predetti Trattati ed i numerosi accordi internazionali conseguenti che avevano già regolato definitivamente l’intera questione.

– La disinformazione politica e massmediale sul trattamento delle minoranze italiane in Slovenia e Croazia (dove dalla metà degli anni ’70 godono documentatamente del livello di tutela più elevato d’Europa), ed il loro conseguente iperfinanziamento con denaro pubblico italiano.

– La “concessione”, apparentemente compensativa, alla minoranza slovena in Italia di una nuova legge di tutela che garantendole alcuni finanziamenti in realtà disconosce e disapplica i maggiori obblighi e livelli di tutela definiti in regime di reciprocità dai Trattati ed accordi internazionali specifici (Memorandum di Londra del 1954, Trattato di Osimo del 1975).

– Una speciale strategìa di investimenti economici, anche svincolati dalle normali previsioni di redditività, nelle fallimentari economie slovena e croata.

– Una prassi anomala di ingerenza politica italiana negli affari interni croati e sloveni, particolarmente in appoggio all’autonomismo istriano venato di secessionismo.

Queste operazioni coordinate hanno, in pochi anni:

– reso credibile in Italia ed all’estero la tesi di speciali diritti italiani sui territori adriatici della Slovenia e della Croazia;

– accresciuto artificialmente e condizionato politicamente le minoranze italiane di cittadinanza slovena e croata, trasformandole  in nuove  enclaves  di  cittadini  italiani posti come tali – assieme ai loro beni mobili ed immobili – sotto protezione politica e militare italiana, e tra breve forniti  (con la nuova legge elettorale per gli italiani all’estero)  anche  di propri rappresentanti eletti nel parlamento italiano, così concretando unilateralmente sui loro territori d’insediamento un “condominio di sovranità” senza precedenti;

– ottenuto (in Slovenia, dove sta per divenire operativo) o preteso (in Croazia) un accesso privilegiato italiano al mercato immobiliare, con specifico interesse ai predetti territori;

– condizionato in misura crescente a capitali italiani la vita economica dei territori in questione e le infrastrutture economiche e finanziarie vitali della Slovenia e della Croazia.

– incoraggiato in Croazia crescenti tensioni politiche tra la Regione (Contea) dell’Istria ed il Governo centrale;

In tal modo l’Italia è stata indotta, contro gli interessi di pace e l’ordinamento propri, comunitari europei ed internazionali, ad essere l’unico Paese d’Europa che, con evidente anomalìa politica:

– attua una politica interna ed estera di concreta rivendicazione ed intromissione su territori esteri perduti con la seconda guerra mondiale;

– ha perciò rifiutato ufficialmente (Ssgr. P.Fassino) il modello di conciliazione tedesco-ceco della dichiarazione di Praga del 20 gennaio 1997, fondata sul riconoscimento dei reciproci torti storici e sulla rinuncia a qualsiasi rivendicazione;

– ha appoggiato a livello di Stato e di Governo il revisionismo storico, sia con dichiarazioni politiche assonanti alle propagande predette, che con costituzioni di parte civile nel presente processo;

Tale anomalìa italiana oltre a porre ovvie basi di gravi tensioni a breve e medio termine, costituisce precedente e riferimento politico non casuale per forze revansciste europee di estrema destra ed altri, diversi, interessi (politici e di criminalità internazionale) che mirano alla riattivazione di ben maggiori contenziosi analoghi nell’Europa centro-orientale (Slesia, Sudeti, Transilvania) in parallelo ai focolai nazionalistici con cui tali forze ed interessi hanno già destabilizzato e colonizzato i Balcani.

Vi è anche documentazione probante su attività illegali di influenza su organi giudiziari italiani e sloveni al fine di proteggere le operazioni della “Gladio 2” e suoi attivisti o sostenitori, così come di parallele attività di censura massmediale sulle notizie inerenti.

5. Informazioni direttamente riguardanti il procedimento penale

Nelle così delineate strategìe operative della struttura c.d “Gladio 2” il procedimento giudiziario romano c.d. “delle foibe” assume dunque valenza politica decisiva, e risulta promosso e strumentalizzato sulle medesime tracce propagandistiche che hanno caratterizzato specifiche attività dei servizi d’informazione collaborazionisti italiani prebellici e di quelli e postbellici sino alla prima metà degli anni ’70.

L’analisi delle documentazioni e deposizioni istruttorie conferma infatti che l’impianto accusatorio organizzato dai promotori e fatto proprio dal PM Pititto ripropone note propagande nazifasciste del 1943-45 e loro rielaborazioni della guerra fredda, su un impianto pseudostorico fornito in particolare da autori che furono già tra gli ideatori e protagonisti notori di tali propagande (L.Papo dal 1943; F.Rocchi, alias A. Sokolic, o Soccolich, dal dopoguerra) e supportato da testimoni in buona parte notoriamente appartenenti o collegati al fascismo collaborazionista e/o ad organizzazioni od ambienti revanscisti del nazionalismo e/o neofascismo.

I primi tentativi di aprire un simile procedimento giudiziario vennero effettuati con denunce presso la Procura di Trieste, ma si infransero sullo scrupolo investigativo dei PM incaricati, che riscontrarono l’infondatezza delle accuse o l’insufficienza delle prove, per lo meno nei termini politico-propagandistici in cui erano state formulate dai promotori.

A seguito di tali insuccessi questi ritennero di rivolgersi alla Procura di Roma.

La denuncia principale alla Procura di Roma risulta presentata attraverso l’avv. Augusto Sinagra, e centrata sulla  questione “foibe” (indagato Motika); i due indagati fiumani (Piškulić, Margitić), estranei a tali vicende, risultano denunciati dal Sinagra stesso al fine di estendere strategicamente gli effetti propagandistici dell’iniziativa giudiziaria alla questione di Fiume; a questo stesso fine le indagini vennero anche alimentate con altre segnalazioni e denunce relative a diversi soggetti e località dell’Istria, della Slovenia e della Dalmazia.

Tali scopi politico-propagandistici estranei ai fini di giustizia risultano confermati dalla successiva conduzione accusatoria iniziale e di parte civile (avv. Sinagra, Avvocatura dello Stato) nel processo, ove, malgrado sia deceduto l’imputato Motika, sono stati sinora proposti ed acquisiti prevalentemente testi e documentazioni riguardanti le imputazioni estinte contestate al Motika stesso (“foibe”), e palesemente privi di attinenza con quelle relative all’imputato Piškulić.

È inoltre documentato che dette finalità politico-propagandistiche del processo sono state pubblicamente dichiarate prevalenti dallo stesso avv. Sinagra in veste di promotore del procedimento giudiziario nonché avvocato di parte civile.

Le indagini della procura di Roma risultano esser state inizialmente affidate al PM dott. Mantelli, il quale dimostrò doverosa prudenza investigativa, perciò lamentata dagli ambienti promotori.

Dopo breve tempo il dott. Mantelli cessò dall’incarico e l’inchiesta fu affidata al dott. Giuseppe Pititto.

Il dott. Pititto diede invece, come già sopra accennato, immediato ed immotivatamente esclusivo credito, e fortissimo spunto propagandistico, alle tesi ed ai testi dei suddetti promotori, nonché a clamorose quanto infondate accuse di incapacità od inerzia, insabbiamento politico ed intimidazione mosse rispettivamente ai magistrati, specie triestini, che avevano precedentemente indagato sul tema, al Governo italiano ed ai Governi sloveno e croato, nell’ambito di una martellante campagna stampa tendente ad accreditare la figura dello stesso PM come eroico e perseguitato ricercatore della verità storica, ed a squalificare con ciò a priori qualsiasi critica al suo operato.

È documentato che peraltro lo stesso PM ed i promotori osservarono, come tuttora osservano, un rigoroso silenzio stampa sulle contestazioni e denunce penali mosse nei loro confronti per quanto sopra.

Risulta documentata inoltre una prolungata quanto inspiegata tolleranza di tali comportamenti del PM da parte della Procura di Roma, del ministero di Grazia e Giustizia e di altri Organi competenti, nonostante la pubblica evidenza dei fatti nonché segnalazioni e denunce specifiche.

Tale pubblica evidenza si concretava nelle note, travolgenti ed ingannevoli campagne massmediali e politiche consentite dai descritti anomali comportamenti giudiziari, le quali hanno concretato ormai da quattro anni un vero e proprio, illecito, linciaggio stampa degli imputati, sottoposti così ad una pubblica condanna pre-giudiziale, nonché una concomitante delegittimazione revisionistica della Resistenza e della sovranità delle Repubbliche Slovenia e della Croazia sui territori ex italiani, alimentando in ampie fasce d’opinione pubblica le tesi revansciste e climi di diffuso odio o per lo meno risentimento antisloveno ed anticroato ed estendendosi anche alla stampa estera.

Venivano inoltre violati sin dalla fase istruttoria i diritti difensivi degli indagati e poi imputati, procedendo anche dolosamente a notifiche estere irregolari ed inefficaci in Croazia ed in  Slovenia.

Alla luce delle predette risultanze d’indagine sembrano assumere particolare significato anche le iniziative giudiziarie civili e penali del PM Pititto per tacitare le rare quanto legittime critiche o denunce di giornalisti (C.Cernigoi; lo scrivente) sulla sua anomala conduzione delle indagini, nonché quelle del medesimo PM e dell’avv. Sinagra dirette a colpire finanziariamente e professionalmente il difensore dell’imputato per il ministero difensivo che egli doverosamente e legittimamente esercita nel processo d’Assise ed in quelli contro i suaccennati giornalisti.

Trattasi infatti di circostanze che, come altre sopra evidenziate, offrono analogie con quelle già riscontrate in occasione od a margine di precedenti, clamorosi procedimenti giudiziari, quali quelli relativi alla strage di Peteano, che coinvolgevano ambienti dei “poteri trasversali” italiani, e specificamente a devianze dei servizi segreti italiani in connessione con la destra eversiva e con la loggia pseudomassonica P2.

5.1. Informazioni di pubblica ragione su alcuni promotori del processo e su testi dell’accusa e di parte civile

Ai fini di una più precisa valutazione dei problemi interpretativi posti da quanto sopra ritengo di dover aggiungere specifiche, attinenti informazioni documentate su alcuni dei soggetti che che risultano protagonisti-chiave del processo in quanto accreditati in vario ruolo come determinanti già in sede istruttoria dal PM Pititto e ripropostisi tali nel processo.

Preciso che si tratta di informazioni non riservate o soggette ai vincoli sul trattamento dei dati personali, bensì di informazioni che sono da tempo di pubblica ragione in quanto pubblicizzate dai mass media o da pubblicazioni specializzate in libera vendita, ed appaiono funzionali alle necessità difensive nel procedimento penale a carico del magg. Piškulić e negli altri procedimenti giudiziari derivati o connessi.

Sinagra avv. Augusto, siciliano, ex vicepresidente di Sicilcassa, patrocinatore e difensore volontario e gratuito (per proprie pubbliche dichiarazioni) delle parti civili, al quale principalmente si deve la costruzione delle accuse proposte in sede di denuncia nonché in quella istruttoria ed ora tenacemente sostenute in giudizio:

– dalla sua carta intestata in atti, il suo studio legale risulta svolgere attività internazionale con sedi e corrispondenti a Roma e Palermo, nonché Pescara, Gorizia, Rijeka-Fiume, São Paulo do Brazil;

– nelle proprie apparizioni pubbliche e secondo la stampa non nasconde orientamenti e frequentazioni di estrema destra, anche apertamente neofascista ed eversiva, né i propri personali orientamenti revisionistici e revanscisti verso l’ex Jugoslavia;

– risulta dalla stampa essere stato, non nascostamente, uomo della loggia P2 nonché difensore di Licio Gelli in note vicende giudiziarie;

–  secondo quanto sostenuto dal giudice Carlo Palermo (in “Quarto Livello”, p. 93) avrebbe anche promosso iniziative a favore di particolari centri islamici e “visitato” in sostituzione di Licio Gelli le logge massoniche irregolari siciliane coperte dal Circolo-tempio (“Centro studi”) di Trapani “Salvatore Scontrino”, fondato dal trafficante Michele Papa, già inaugurato alla presenza di Gelli stesso e poi al centro di note indagini per connessioni mafiose.

– risulta dalla stampa avvocato di fiducia del governo turco (caso Oçalan) nonché, assieme ad un legale che ostenta professione politica di estrema destra, difensore di fiducia di ufficiali di regimi liberticidi sudamericani indagati per crimini efferati;

– sempre dalla stampa risulterebbe rivestire un incarico diplomatico onorario di rappresentanza dello Stato non riconosciuto di Cipro turca, che si trova notoriamente al centro di numerose indagini internazionali quale sede di traffici illeciti.

Pirina Marco, pubblicista storico revisionista, più che ampiamente accreditato dai media ed in questo stesso procedimento quale denunciante nonché fonte credibile di informazioni e ricerche sui “crimini” partigiani e jugoslavi:

– figlio di un ufficiale della collaborazionista Guardia Nazionale Repubblicana ucciso dai partigiani italiani, risulta dalla stampa essere stato negli anni ’60 a Roma presidente dell’organizzazione universitaria neofascista FUAN e responsabile dell’organizzazione di pari orientamento “Fronte Delta“, rimanendo in tale veste coinvolto nelle indagini giudiziarie sul tentato golpe di J.V. Borghese;

– il suo “Centro Studi Silentes Loquimur“, risulta dalla stampa tenuto da battesimo dal dirigente neofascista eversivo Pino Rauti e dall’esponente neoirredentista triestino prof. on. Arduino  Agnelli, ex  socialista  craxiano già al centro di clamorose  polemiche per contatti con i secessionisti serbi nella guerra civile ex-jugoslava ed in precedenza per aver presieduto durante la “rivoluzione” romena un centro aiuti formato prevalentemente da noti estremisti di destra;

– l’attendibilità delle sue ricerche storiche sul presunto “genocidio delle foibe” è stata sottoposta dalla giornalista triestina Claudia  Cernigoi ad un’indagine (illustrata nel suo libro “Operazione foibe a Trieste”, per il quale il PM Pititto le ha intentato causa di risarcimento danni) che vi ha riscontrato una percentuale di errori sugli elenchi di asserite vittime superiore al 60%; il Pirina ha replicato con una pubblicazione che ostenta non casualmente lo stesso titolo, riproducendolo anche graficamente, del primo opuscolo della propaganda nazista 1943-44 sulle “foibe” (“Ecco il conto!”);

– ha subìto una recente condanna per aver attribuito nelle proprie pubblicazioni a partigiani sloveni delitti di cui erano innocenti, con la medesima formula accusatoria ora rivolta contro il magg. Piškulić per l’omicidio Sincich;

– avendo già patteggiato una condanna per abuso del titolo di dottore, non essendo laureato, vanta sulla propria carta intestata titolo ingannevole di “professore”;

– sulla medesima sua carta intestata vanta anche il titolo di “Deputato” del “Parlamento mondiale per la Pace e la Sicurezza”, organizzazione che risulta avere sede a Palermo, via Roccaforte, esser composta da circa 800 “deputati” e 400 “senatori” di varia nazionalità e rilasciare oltre a premi internazionali dei “passaporti diplomatici”.

– Secondo notizia diffusa il 29.7.1999 dalla Procura e dai Carabinieri di Roma con clamore dei media (e successivo, immediato silenzio stampa) tale “Parlamento” e logge massoniche irregolari ad esso connesse avrebbero coperto contatti internazionali ad alti livelli governativi di una vasta rete (40 indagati) di società finanziarie dedite a truffe internazionali con il traffico illegale di certificati di credito e titoli falsi per circa 100 miliardi di lire, nonché di barre d’uranio 235 e 238 ad uso civile rubate nel 1988 tra USA e Zaire. Il denaro ricavato avrebbe finanziato attività non ancora accertate. La struttura delineata da tali notizie stampa avvicina il caso a quelli precedenti del sopra citato circolo “Scontrino”, che sarebbe stato frequentato come sopra detto dall’avv. Sinagra nella stessa città di Palermo, ed ai menzionati casi di riciclaggio (Kohlbrunner, Torre Annunziata) in cui sono risultate coinvolte con la c.d. “Gladio 2” anche autorità slovene.

Papo Luigi, istriano, dalle sue stesse pubblicazioni, dalla stampa collaborazionista istriana del 1943-45 e da pubblicazioni di analisi storico-politica specializzate risulta:

– fondatore, nel momento dell’occupazione tedesca dell’Istria (che costò 13.000 morti istriani) del collaborazionista Fascio Repubblicano di Montona e delle sue squadre d’assalto;

– ufficiale (comandante di presidio) della collaborazionista e neocostituita “Milizia Difesa Territoriale” (2º Rgt “Istria”), operante sotto comando SS, nonché dei relativi servizi d’informazione collegati ad esse, alla RSI ed alla X Mas di J.V. Borghese;

– responsabile in tali vesti di feroci rastrellamenti ed uccisioni di partigiani istriani e co-redattore delle prime propagande ufficiali nazifasciste sulle “foibe”;

– condannato a morte per tali fatti in Jugoslavia, con mandato di cattura internazionale;

– rifugiato in Italia sotto falso nome finché la richiesta di estradizione nei suoi confronti non fu archiviata su disposizione speciale del Ministro dell’Interno Mario Scelba;

– fondatore in quel medesimo periodo, con altri ex gerarchi fascisti, di un “Centro Studi Adriatici” con cui è stato da allora ed è a tutt’oggi uno dei principali e più espliciti propagandisti del neoirredentismo e dei temi delle “foibe”.

– noto dirigente di altre organizzazioni neoirredentiste di estrema destra.

Antonio Rocchi (alias Sokolic, Soccolich) ovvero padre Flaminio Rocchi, frate francescano di origini croate, originario di Lussino-Losinj; le sue pubblicazioni ed interventi storico-politici trovano speciale credito a causa della sua veste di religioso; dalla stampa e dalle sue stesse pubblicazioni egli risulta, tra altro:

– esser appartenuto durante la seconda guerra mondiale a forze combattenti ed in particolare a corpi speciali  di incursori;

– essersi attivato dopo la guerra guerra nella gestione delle assistenze dei profughi ed optanti istriani e dalmati e nelle organizzazioni nazionalistiche a ciò preposte;

– aver diffuso con proprie pubblicazioni ed interventi pubblici narrazioni di atrocità partigiane slovene e croate contro italiani prive di qualsiasi riscontro o del tutto false e costruite secondo noti schemi generali di guerra propagandistica;

– aver svolto inoltre a tal fine dagli anni ’50 opera determinante per chiudere, le cosiddette “foibe” di Basovizza e Monrupino (Carso Triestino), così sottraendole a ricognizione della magistratura benché si trovino in territorio italiano ed all’indagine storica risultano vuote, ed elevarle a monumenti nazionali in funzione antislovena ed antipartigiana come asserite fosse comuni di migliaia di vittime italiane non recuperabili;

– aver spiegato pubblicamente i suddetti propri trascorsi bellici ed attività politico-propagandistiche sul quotidiano di Trieste “Il Piccolo” del 4.5.1994 affermando di essere “un frate strambo che approfitta del saio che porta“.

– aver fornito al PM Pititto (v. atto di rinvìo a giudizio) la ricostruzione storica falsa da questi utilizzata quale cornice probatoria delle imputazioni contro il magg. Piškulić e gli altri indagati, così formulata “Dopo l’8 settembre 1943 le truppe jugoslave occuparono l’Istria, comprese le città  di Trieste, Gorizia e Monfalcone (…) ebbe inizio una dura pulizia etnica contro gli Italiani considerati come delle impurità etniche (..) In questo clima scomparvero dai 10 ai 12 mila civili italiani, uomini e donne, uccisi dai partigiani titini, molti dei quali infoibati, per il semplice fatto di essere italiani”.

Per quanto riguarda altri testi del presente procedimento penale, giova osservare che sin dalla fase istruttoria le narrazioni più atrocemente suggestive, anche ai fini massmediali, circa asserite speciali efferatezze commesse da partigiani sloveni e croati in danno di italiani risultano prive di riscontri probatori e sembrano ricalcare noti schemi dei manuali di guerra propagandistica.

5.2. Elenco cronologico delle principali iniziative di denuncia giornalistiche e giudiziarie in argomento.

Le descritte attività anomale del PM e dei promotori del processo sono potute continuare indisturbate dal 1996 ad oggi grazie al suaccennato blocco giudiziario, istituzionale e massmediale di numerose iniziative di denuncia e segnalazione sia specialistiche che giornalistiche e giudiziarie, precedenti e conseguenti il procedimento penale.

A chiarimento di ciò fornisco pertanto qui di seguito un elenco cronologico delle principali iniziative da me personalmente assunte tra il 1989 ed il 1987, delle quali vorrà valutare l’opportunità di produzione nel processo.

4.9.1989 – dossier Promemoria sulla questione delle foibe” (17 cartelle, più 10 documentazioni 1943-1988 allegate) redatto e consegnato su richiesta del Ministero degli Interni italiano tramite la Questura di Trieste.

23.11.1990 – esposto-dossier (22 cartelle testo più 133 cartelle di allegati, con specifico capitolo e documenti, incluso il dossier di cui al punto precedente, sulla questione anche giudiziaria “foibe”, allora in gestazione) al Giudice istruttore di Venezia dott. Felice Casson in relazione alle note indagini in corso sulla destra eversiva del confine orientale, con le prime indicazioni sull’esistenza di una struttura operativa illegale.

26.9.1993 – denuncia penale presso altro organo giudiziario di illecite attività della non ancora individuata struttura “Gladio 2” nel conflitto interjugoslavo. Con produzione, tra altro, dei materiali di cui al punto precedente.

marzo 1995 – consulenza analitica professionale «Italia-Slovenia-Croazia – Il problema delle relazioni storiche e politiche al confine orientale» (73 cartelle) commissionatami tramite il sen. Darko Bratina dagli organi parlamentari dell’allora PDS. Vi sono analizzate dettagliatamente le attività illegali dell’ancora non individuata “Gladio 2” e tra queste anche quelle sul tema “foibe”.

3.1-5.2.1996 – traduzione e pubblicazione in lingua slovena della consulenza analitica di cui sopra sul maggiore quotidiano della Slovenia, Delo – di cui sono collaboratore ed analista agli esteri – sotto il titolo di “Velika prevara na slovenski zahodni meji – Dosje Italija” (“Il grande inganno al confine occidentale sloveno – Dossier Italia”), con contestuale consegna del testo originale italiano completo al ministero degli Esteri italiano tramite l’Ambasciatore a Lubiana, Massimo Spinetti.

16.2.1996 – pubblicazione sul Delo, sotto il titolo di “Rim si nas upa obtoziti genocida!” (“Roma pensa di accusarci di genocidio!“) di un primo articolo di documentata analisi e denuncia della politicità ed infondatezza dell’inchiesta sulle “foibe” appena pubblicizzata dal PM Pititto, Questo articolo sul procedimento penale, come tutti i successivi più sotto menzionati, venne trasmesso a Roma dall’Ambasciatore d’Italia a Lubiana assieme al testo originale italiano da me personalmente fornitogli.

20.3.1996esposto-denuncia penale, con documentazioni allegate, nei confronti dei promotori del processo c.d. “delle foibe” e del PM Pititto, inviato al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma, al Presidente del CSM, e per conoscenza ai competenti ministri italiano, sloveno e croato quale «richiesta di accertamenti sulla sussistenza di diffusione e pubblicazione di notizie segrete dell’indagine preliminare, frode processuale, falsa testimonianza, violazione della legge n. 17/1982;  richiesta di ricognizione legale di fosse comuni; denuncia per diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico, simulazione di reato, turbativa di relazioni con Governi esteri, violazione della legge n. 205/1993, delitto di genocidio» (quest’ultimo relativamente alle persecuzioni ed atrocità italiane 1918-45 nei confronti degli sloveni e croati).

26.3.1996integrazione e rinnovo della denuncia penale 26.9.1993 (“trasmissione documentazioni analitiche, richieste di accertamenti“) segnalante gli elementi di  individuazione dell’esistenza dell’organizzazione illegale poi convenzionalmente denominata “Gladio 2“, in ipotesi di copertura da parte dei servizi segreti italiani; con produzione anche dell’esposto-denuncia 20.3.96 relativo all’inchiesta Pititto.

contestuale invìo di copia dell’esposto-denuncia 20.3.96 ed allegati alla Procura di Milano a titolo di «informazioni attinenti inchieste in corso», in quanto nelle attività dell’organizzazione individuata risultava implicata la dirigenza PSI coinvolta nella c.d. ‘tangentopoli’. Il Procuratore Capo di Milano dott. Borrelli ne trasmise alla Procura di Roma copia rinvenuta negli atti istruttori del denunciato dott. Pititto, il quale non reagì pur essendo così provatamente a piena conoscenza dei contenuti dell’esposto.

2.4.1996 – invìo al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma, al Presidente del CSM, ai Ministri predetti nonché ai Procuratori Generali delle Repubbliche di Slovenia e Croazia di un «supplemento» alla richiesta d’indagini e denuncia del 20.3.1996, con «richiesta di accertamento sussistenza reato art. 290, 2º CP» (vilipendio delle Forze Armate della Liberazione), ed ulteriori documentazioni allegate.

settembre 1996 – edizione in volume a cura della redazione esteri del Delo (ed. Slava, Kamnik) dello studio“Velika prevara na slovenski zahodni meji – Dosje Italija” (“Il grande inganno al confine occidentale sloveno – Dossier Italia“) già pubblicato dal quotidiano come sopra. Preciso che il libro venne presentato pubblicamente a Lubiana con la partecipazione degli analisti delle principali rappresentanze diplomatiche accreditate in Slovenia, inclusa la statunitense e l’italiana, e vasta eco di stampa estera.

13.9.1996 – denuncia giornalistica dettagliata sul Delo, sotto il titolo FOJBE? GRE ZA PRODIJEV PROBLEM (“Foibe? È un problema di Prodi”) dell’esistenza della struttura segreta e delle manovre di politica interna ed internazionale individuate attorno all’istruttoria sulle “foibe” del PM Pititto, con riscontri puntuali sia dei fatti che delle segnalazioni e delle denunce penali già effettuate in merito.

– Il giorno stesso l’articolo, oltre ad esser trasmesso col testo italiano a Roma tramite l’Ambasciata di Lubiana e via fax dalla redazione a 32 tra testate e colleghi italiani autorevoli,  venne ripreso e rilanciato in Italia, per le parti sostanziali e le prove citate, dal quotidiano “Liberazione” (Roma) sotto il titolo «Una rete eversiva dietro la campagna sulle foibe – Il “Delo”, quotidiano di Lubiana, pubblica oggi gravissime rivelazioni» e riassunto dal quotidiano italiano dell’Istria “La Voce del Popolo” (Rijeka-Fiume) sotto il titolo “Dini sdrammatizza, Parovel invece attacca «le foibe orchestrate da piduisti ed opus dei» Preciso che malgrado la rilevanza giornalistica del caso, su di esso calò un immediato e totale silenzio stampa.

17.10.1996 – rinnovo ed integrazione sul Delo, sotto il titolo Pravosodna tragikomedija – Intermezzo pred tretijm dejanjem” (“Tragicommedia giudiziaria – Intervallo prima del terzo atto”) della denuncia giornalistica di cui sopra, a seguito della notizia dell’incriminazione formale degli inquisiti Motika, Margetić e Piškulić da parte del PM Pititto; l’articolo denuncia anche l’inattendibilità e politicità propagandistica del procedimento e dell’operato del PM Pititto, il blocco giudiziario delle denunce penali presentate ed il relativo silenzio stampa in Italia.

4.2.1997 – informazione al GIP di Roma, a fronte della richiesta di rinvìo a giudizio formulata dal PM Pititto, circa le denunce presentate in merito, con copia al CSM nonché per conoscenza agli indirizzi istituzionali italiani, sloveni e croati competenti.

19.2.1997informazione diretta per fax al PM Pititto circa l’atto inviato al GIP, con copia allegata. Preciso che il PM non reagì, ma intervennero in sua difesa, evidentemente informati, 150 parlamentari italiani di destra con due violentissime e diffamatorie interrogazioni (Camera e Senato) dirette contro la mia persona e professionalità; contemporaneamente le  loro parti politiche ed i promotori del processo scatenarono una violenta ed offensiva campagna stampa di delegittimazione del GIP dott. A. Macchia e l’avv. Sinagra gli predispose (a firma della parte civile sua rappresentata Nidia Cernecca) un atto di ricusazione motivato col ricevimento delle mie informazioni dd. 4.2.1997, mentre la campagna stampa veniva rinforzata con la pubblicazione dei nomi di altri indagati.

15.5.97 e 20.5.97 – invìo di ulteriori informazioni in argomento al GIP di Roma dott. Macchia, allegando copie: dell’informazione al GIP del 4.2.1997; degli esposti-denuncia 20.3.1996 e 2.4.1996; della comunicazione 19.2.1997 al PM Pititto; degli articoli di denuncia dell’organizzazione segreta pubblicati il 3.9.1996 dai quotidiani Delo (con traduzione) e Liberazione.

22.9.97 – reinvìo alla Procura Generale di Roma, stante il suo silenzio, di copia degli  atti già ad essa inviati il 20.3.1996 e 2.4.1996, con richiamo al loro esito.

Preciso che a tutt’oggi, malgrado la rilevanza penale dei fatti denunciati, non se ne è avuto alcun riscontro formale;  ignoro peraltro se essi abbiano avuto parte, e quale, nelle valutazioni per la sostituzione del PM nel processo e nella successiva sua rimozione ad opera del CSM dalla sede romana e  da ogni incarico requirente.

Trieste – Roma, 09 maggio 2001.

(n. 04 allegati come da elenco accluso)

Paolo G. Parovel


[1] già agente dei servizi italiani pre- I Guerra Mondiale

[2] responsabile S.D. – Sicherheitsdienst

[3] Tra le fonti principali dei dati su persone citati nel volume di Bartoli troviamo il Centro Studi Adriatici del già menzionato Luigi Papo e la persona di Lina Galli (insegnante, scrittrice e poetessa, appartenente a famiglia istriana fortemente nazionalista e compromessa col fascismo; probabilmente coinvolta nei servizi repubblichini dopo aver perso parenti nella prima epurazione del 1943).

© 15 Aprile 2011

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