La Voce di Trieste

Unità e verità d’Italia

di

Editoriale

Le celebrazioni per il 150° dell’unità d’Italia (1861), o più esattamente della creazione di un primo stato nazionale italiano ? come regno sino al 1946 e da allora repubblica ? sono state purtroppo l’ennesima riproposizione di retoriche immature sul passato, favorevoli o contrarie, invece che di riflessioni serie, utili e concrete sulla dignità, la realtà ed il futuro del Paese d’oggi. E la scarsissima partecipazione di popolo ha dimostrato che la gente se ne rende perfettamente conto.

La ricorrenza sbagliata

Come prima cosa, nella storia d’Italia la ricorrenza del 17 marzo 1861 non è affatto quella di una conseguita unità nazionale o statuale, e tantomeno per volontà democratica di popolo. É soltanto la data in cui il neoeletto parlamento del Regno di Sardegna, dal 1720 in mano ai Savoia, e di alcuni territori appena occupati militarmente ed annessi con plebisciti minoritari, cambiò il nome dello Stato in Regno d’Italia conservando come legge fondamentale (sino a tutto il 1947) il limitato Statuto sardo-piemontese del 1848.

Il Regno così proclamato non includeva ancora il Veneto e Mantova, né Roma ed il Lazio, annessi rispettivamente nel 1866 e 1870. Mentre Trieste rimase fedelmente austriaca (dal 1382) per altri 57 anni, sino al 1918, assieme a Gorizia, Friuli orientale, Tarvisiano, Istria, Fiume (ungherese dal 1779), Dalmazia, Trentino e Südtirol.

Quanto alla volontà popolare, degli oltre 22 milioni di sudditi nel 1861 avevano diritto di voto solo i maschi adulti con un reddito fiscale elevato, cioè circa l’1.8% della popolazione, mentre ai plebisciti di annessione il voto non era segreto. Per l’elezione di quel parlamento i voti popolari liberi furono di sole 100.000 persone (sui 22 milioni) perché dei circa 400.000 elettori votò poco più della metà esprimendo 170.000 voti validi, 70.000 dei quali erano di dipendenti statali.

Ma l’Italia reale di cui siamo oggi cittadini, residenti, ospiti o amici non è neppure quel Regno. È la nuova Repubblica Italiana democratica rifondata, dopo il suo disastro, su una Costituzione vera tra le migliori del mondo, anche se più o meno spesso insidiata e tradita. L’anniversario di fondazione da celebrare è perciò quello dell’entrata in vigore della Costituzione: il 1° gennaio 1948.

Rimozioni e manipolazioni

La storia ufficiale d’Italia che continua venirci proposta in tutte le celebrazioni è inoltre un collage agiografico impresentabile di propagande d’epoca, con stili e contenuti così retorici, puerili e faziosi da riuscire a renderne indigesto ad ogni intelligenza critica qualsiasi capitolo, nobile od ignobile, dal risorgimento nazionale al fascismo ed alla Resistenza.

Tantopiù che le sole revisioni accettate di recente spacciandole per “patriottiche” sono state quelle involutive di riabilitazione sfacciata del nazionalismo, del fascismo e persino del collaborazionismo, col favore servile di schiere di storici, intellettuali e politici opportunisti di destra, centro e sinistra. Mentre vengono ignorati, o accusati a rovescio di “revisionismo”, gli storici italiani ed esteri che propongono correzioni storiche serie, positive e documentate.

Questa fossilizzazione apologetica della storia ufficiale copre in realtà la rimozione politica della massa di violenze, crimini ed inganni ignobili di cui è intessuta anche la storia d’Italia. Come quella di altri Paesi ed istituzioni, anche religiose, che però sanno purificarsene riconoscendoli (valga per tutti l’esempio della Germania dopo gli orrori il nazismo).

Il problema non è accademico, perché rimuovere e negare gli errori e delitti di Stato li legittima, ne favorisce la ripetizione ed è comportamento tipico delle dittature, non delle democrazie. Nelle quali segnala perciò l’esistenza di strutture dittatoriali ufficiose.

L’elenco delle rimozioni italiane più vistose include le stragi, rapine, violenze, repressioni, stupri, “pulizie etniche”, deportazioni ed altri crimini commessi nel nome d’Italia in tempi di guerra e di pace, prima per la conquista ed occupazione sabauda del resto della penisola, in particolare nel meridione, e delle colonie extraeuropee, e poi per l’espansione coloniale dei confini alpino ed orientale.

Ma vi si aggiungono gli insabbiamenti e le rimozioni rapide di infamie della storia nazionale recente che vanno dalle stragi di terrorismo alle devianze massoniche ed istituzionali, alle corruzioni politico-mafiose e quant’altro. Favorite pure da impunità anch’esse inimmaginabili nelle democrazie sane. E sintomatiche di quelle malate.

Operazioni politiche

Questi livelli abnormi di retorica pseudo-patriottica e rimozione storica non nascono però dal nulla, né da asseriti vizi culturali degli italiani, ma da ambienti di potere trasversale che se ne servono sia per conservarlo, coprendo le proprie corruzioni, che per operazioni politiche attuali.

Così i risentimenti antiunitari legittimi che le rimozioni ufficiali delle ingiustizie compiute alimentano nelle vittime vengono strumentalizzati in politica per operazioni di erosione della garanzia strutturale di legalità dello Stato o di situazioni internazionali, a beneficio proprio o della criminalità organizzata. Il sistema più semplice è radicalizzarli in razzismi e su rivendicazioni impossibili.

Le evidenze interne di queste strumentalizzazioni impazzano ormai da anni sino a livello di governo. Mentre in politica estera il caso, unico in Europa, del revisionismo storico-politico di Stato italiano verso Slovenia e Croazia continua a preoccupare i centri d’analisi euroatlantici addetti alla stabilizzazione del Sudest europeo.

Le radici politico-culturali del problema

Le radici politico-culturali del problema sono due vecchie confusioni tuttora diffuse: tra Stato e nazione, e fra passato e presente. Lo Stato è l’organizzazione politica di una collettività territoriale, definita perciò non da lingua o cultura, ma dalla convivenza fisica e da interessi economici e politici comuni. E tende perciò naturalmente ad essere multiculturale e plurilingue (si pensi alla Svizzera ed all’Austria-Ungheria).

Mentre la nazione è una comunità monoculturale e monolinguistica, che come tale può essere diffusa in Stati diversi, senza soffrirne ed anzi arricchendosene nei propri valori di lingua e cultura. L’appartenenza nazionale non è inoltre esclusiva, perché le dinamiche naturali di contatto e commistione delle popolazioni consentono alle singole persone di appartenere anche a più lingue e culture, ed alle comunità di condividerle.

Il romanticismo ottocentesco ha invece immaginato che ogni nazione abbia una propria individualità spirituale e politica collettiva, sia definita da purezze etnico-genetico-razziali e soggetta a gerarchie di merito rispetto ad altre. Ed ha preteso che fosse perciò razionale e legittimo farla coincidere col diritto ad uno Stato proprio, lo Stato nazionale, spezzando anche con la forza le convivenze naturali negli Stati plurinazionali, imponendo dominanze, oppressioni delle comunità nazionali minoritarie e trasferimenti o scambi di popolazione.

Il risultato di quest’idolatrìa della nazione (nazionalismo) sono le tragedie europee maggiori e più sanguinose dei due secoli passati, culminate nel fascismo e nel nazismo, nel razzismo di Stato e nel genocidio. Con le relative sopravvivenze ideologiche sia nel mondo politico liberale e cattolico che in quello comunista.

Quanto alla confusione tra passato e futuro, consiste nel non saper distinguere tra la nostra Italia democratica del 2011 e quella delle persecuzioni politiche interne e delle guerre di rapina ed annessione iniziante nell’Ottocento e finite nel 1945, ormai 66 anni fa. I responsabili superstiti, nel male o nel bene, possono perciò appartenere ormai soltanto all’ 1%  di maschi ultraottantenni sui 60,6 milioni di abitanti attuali.

Dunque il 99% di noialtri sessanta milioni, dai 70enni ai neonati, con quel passato non c’entra nulla e vive in un mondo differente, tre volte più affollato ed inquinato, con risorse e problemi vitali radicalmente diversi ed in mutazione continua.

Le ragioni del passato

Abbiamo però tutto il diritto di contestare, per verità e dignità, i polpettoni e compitini retorici che ci vengono riproposti con queste celebrazioni e consistono nell’insistere spocchioso, 150 anni dopo, a raccontare le stravecchie frottole propagandistiche sull’avvenuta unificazione statuale della penisola italiana come processo di liberazione di popolazioni divise ed oppresse da tiranni in staterelli arbitrari farseschi, arretrati e feroci, sostenuti solo da bande di briganti anti-italiani.

Quando è ben noto e documentato che la vollero e fecero invece delle minoranze intellettuali e rivoluzionarie esigue, con le armi dei Savoia e di forze straniere. Annientando contro la volontà della stragrande maggioranza delle popolazioni, ad iniziare dal Sud, realtà statuali legittime e di antica tradizione, che per quei tempi erano anche più floride, colte, liberali (tra avanguardia toscana e retroguardia pontificia) e progredite. Ed impedendo così che si unissero in una confederazione sul modello tedesco, sommando in pace le loro risorse invece di vedersele saccheggiate o distrutte nel sangue con le armi.

Così come accadde poi qui a Trieste e nel Litorale, dove gli irredentisti erano anch’essi in realtà una minoranza esigua, tanto che nel 1914-18 il 99% della nostra gente combattè valorosamente per l’Austria-Ungheria, e non per l’Italia. Per non dire di tutto ciò che quell’Italia ci ha portato dopo, tra la dittatura ed i crimini del fascismo, le altre guerre, le persecuzioni razziali e qui anche la distruzione della nostra plurinazionalità millenaria, poi l’annientamento del Territorio Libero di Trieste, ed infine lo strangolamento del nostro porto e del nostro lavoro.

Da Trieste e Bolzano alla Sicilia abbiamo quindi tutto il diritto non solo di dirlo e scriverlo chiaro, ma anche di esigere che queste verità storiche documentate siano riconosciute e rispettate finalmente a livello ufficiale anche in Italia come in tutta l’Europa civile. E che venga riconosciuta ed onorata ufficialmente la pari dignità di chi tra i nostri padri ed avi ha contrastato idealmente ed in armi quel genere di unità nazionale con lo stesso diritto e buona fede di chi l’ha sostenuta.

Le ragioni del presente

Ma gli eventi positivi o negativi della storia rimangono fatti compiuti irreversibili, che non devono oscurare le ragioni del presente.  Ed il diritto di avere come patrie dell’anima quelle scomparse (qui in particolare l’Austria-Ungheria) non confligge con i comportamenti corretti verso quella istituzionale dell’oggi.

Quali che siano le nostre opinioni critiche o meno sull’Italia del passato, non si deve perciò dimenticare che lo Stato italiano di oggi, piaccia o no, è la struttura essenziale di sopravvivenza civile sulla quale ci troviamo tutti imbarcati, cittadini e stranieri residenti. Senza nostra colpa né merito, anche se non senza pena per i suoi molti guai e difetti, ma con il diritto ed il dovere per tutti di difenderla e governarla al meglio.

Non ci possiamo dunque nascondere che dietro tutti i paraventi retorici c’è un Paese vivo e concreto, composto da noi e dai nostri figli, che è in crisi economica e morale sempre più profonda. E rischia di dissolversi proprio a livello di Stato, cioè di garanzia della legalità, nel momento in cui è il più dominato in Europa dalla criminalità mafiosa e dalla corruzione. Con una classe politica che quando non è collusa è comunque troppo inetta per difenderlo, ovvero per difendere noi cittadini. E lo stesso vale per la città e provincia di Trieste, come confermano con evidenza le stesse inchieste e denunce del nostro giornale.

Le priorità non sono quindi i federalismi né gli incrementi delle autonomie locali, nobili idee che però nel concreto della nostra situazione nazionale e locale consegnerebbero il potere alle mafie ed ai corrotti, né i giochi di partiti, liste e politicanti.

Le vere priorità sono invece due, e connesse: il lavoro ed il rafforzamento della legalità e garanzia dello Stato contro le mafie, contro le corruzioni e per la giustizia sociale. Con l’impegno civico quotidiano di tutti, che è la sola celebrazione dignitosa e seriamente patriottica di qualsiasi ricorrenza istituzionale.

Tra le pochissime manifestazioni augurali apprezzabili di questo 17 marzo vi segnaliamo per chiarezza, pertinenza di concetti e grazia espositiva il link http://auguri.tecnova.it/

Paolo G. Parovel

© 19 Marzo 2011

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