La Voce di Trieste

Trieste: la chiesa nella grotta a San Servolo e la setta esorcistica dell’inglese ‘reincarnato’

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Indagine storica e spirituale

Il margine sudoccidentale degli altopiani carsici che sovrastano Trieste ospita anche l’unica ed antica chiesa sotterranea dell’entroterra sloveno della città, ed anche di tutta la Slovenia: la Sveta jama, grotta santa, o Grotta di S. Servolo, che si apre circa trecento metri a nordest dello storico castello omonimo (Socerb – San Servolo – St. Serff) in una piccola conca erbosa con i tigli rituali che la tradizione sacrale già precristiana degli Sloveni pone appunto dinanzi alle chiese.

 

Atmosfere spirituali antiche e banalizzazioni moderne

Il luogo offre atmosfere spirituali particolarissime per l’integrazione tra le architetture naturali della grotta ed un culto locale e triestino che si fa risalire nel tempo agli albori del cristianesimo, ma si sovrappone qui probabilmente, reintepretandoli, ad altri ancor più antichi dei misteri delle cavità e delle acque.

Ed in questo suo valore percettivo e riflessivo la visita del sito, meglio se in piccola compagnia, sensibile e discreta, può anche diventare un momento di riequilibrio dalle tensioni e dagli smarrimenti dell’anima nel nostro tempo.

Può anche accadere però che le percezioni spirituali positive finiscano, qui come altrove, rovesciate in squilibri pericolosi che è bene individuare subito come tali ed evitare. Ed é accaduto purtroppo ad un un signore inglese, che visitando il luogo si è sentito di essere nientemeno che la reincarnazione del mitico San Servolo.

Raccontando poi a comprova la sua storia con sempre sempre più particolari ‘ricordati’ o smentiti, ma tratti palesemente dalle banalità che se ne leggono su pubblicazioni moderne incomplete e poco accurate.

Il che dovrebbe essere sufficiente a comprendere che si tratta di mera autosuggestione in un soggetto ovviamente debole sotto questo profilo.

 

Una nuova setta rovinosa

Ma sembra stia diventando qualcosa di assai peggiore, perché da quelle stesse storie orecchiate ed autoraccontate il ‘reincarnato’ si è anche convinto a credere di poter  cacciare gli spiriti maligni e fare guarigioni miracolose. E così ha incominciato a raccogliere ed organizzare suoi appositi gruppi di pellegrinaggio alla grotta in abbigliamenti suggestivi (vedi fotogalleria di Franc Male?kar) con preghiere, sermoni, esorcismi e quant’altro, pure a pagamento o rimborso spese ed incoraggiando a venerarlo come reincarnazione del santo.

E poiché le persone smarrite e sofferenti sono tantissime dappertutto, quest’uomo sta anche facendo proseliti, per ora quasi tutti in Slovenia. Con i quali sta turbando sempre di più la serenità ed il significato originari del luogo, e con la sola prospettiva finale di rovinare, magari in buona fede, chi con buona fede e speranza assurdamente lo segue.

Questo genere di sette, vecchie o nuove che siano, hanno sempre aggravato i problemi dai quali nascono, perché sono soltanto risposte fanatiche e sbagliate quando non veri e proprie truffe deliberate. Le sofferenze si alleviano col buon cuore e l’aiuto reciproco, senza bisogno di santoni, le vie giuste dello spirito sono semplici e diritte, ed il fatto che qualcuno si pretenda santo é la prova sufficiente che non lo è affatto.

Per contribuire dunque ad evitare che quest’ennesima scemenza stravagante faccia altri proseliti-vittime sull’onda delle curiosità di cronaca, e prima che altri media ne scrivano con leggerezza, abbiamo pensato di offrire ai lettori un’indagine storica e spirituale di livello sulla tradizione ed i significati reali di questo luogo e del suo culto.

Oltre ad essere un capitolo di storia inedito in questi termini, dovrebbe essere più che sufficiente a smascherare una volta per tutte il rozzo inganno che quest’ignorantissimo ‘reincarnato’ va spacciando a sé stesso ed agli altri.

 

La grotta divenuta chiesa

La grotta è profonda complessivamente circa 48 metri con uno sviluppo di 50, e presenta due ingressi protetti da cancellate. Quello superiore é a livello del prato ed immette con breve salto in un vano circondato da colonne stalagmitiche che si affaccia alla sala sotterranea principale come una cantorìa di chiesa, tanto che oltre a dar luce ospitava durante le funzioni religiose il coro ed un armonium calato dall’apertura.

L’ingresso inferiore consente invece di accedere alla grotta scendendo una lunga gradinata, chiusa nel primo tratto dal portale del santuario. Entrando, subito a destra  si trovano scavati nella concrezione stalagmitica un’acquasantiera e degli stretti gradini che conducono al vano della cantorìa, mentre la gradinata principale si allarga scendendo sino al fondo della caverna principale, dov’é stato ricavato un ampio spazio piano terrapienato contornato da colonne stalagmitiche e sorretto a sinistra da un muro alto e spesso.

Al termine di questa navata naturale sorge su quattro gradini l’altare, che nelle immagini d’inizio Novecento mostrava una mensa decorata a rilievo con un’alzata  barocca più tarda e piuttosto sobria, ed un baldacchino metallico a protezione dallo strillicidio. Sul gruppo stalagmitico di destra un cornicione ospitava una piccola statua del santo, mentre ai lati dell’altare altri gradini salgono ad una nicchia retrostante, aperta nel colonnato stalagmitico.

Questa nicchia dà accesso ad una sorta di camera interna che ha anche una vasca naturale di raccolta dell’acqua di stillicidio, limpidissima, ed é qui che secondo tradizione il santo sarebbe vissuto in breve eremitaggio, dissetandosene.

A destra dell’altare la cavità si sviluppa ancora con un ramo quasi piano per una quarantina di metri, mentre al termine della scalinata d’ingresso una scala in pietra scende sulla sinistra nella caverna raggiungendo un muro con portale seicentesco d’accesso ad una cavernetta, che gli allora feudatari conti Petazzi avrebbero allestito a cantina per i loro vini e presenta sulla sinistra un pozzo profondo una decina di metri.

Abitano da sempre gli anfratti di questa grotta anche qualche piccolo rapace notturno e graziosi pipistrellini di più specie.

 

I reperti e gli interrogativi storico-archeologici

Ricognizioni scientifiche parziali della Sveta jama hanno restituito sinora antichi resti ossei umani ed animali, anche d’orso, e reperti culturali dal Neolitico ad epoca protostorica, preromana (inclusa una fibula La Téne) e romana. Karl L. Moser trovò nella nicchia sacra una moneta dell’imperatore Costanzo piuttosto consunta, dunque verosimilmente deposta tra il 4° ed il 5° secolo d.C.

L’indagine completa richiederebbe lo smantellamento provvisorio del livello del terrapieno attuale per raggiungere i livelli di fondo presumibilmente intatti che potrebbero testimoniare l’antichità degli usi cultuali della grotta. Anche perché il sito, i pur scarsi reperti già noti, l’analisi della leggenda triestina del santo e la sua rilevanza nella storia religiosa della città suggeriscono che vi siano state  sovrapposizioni a culti locali pre- e proto-cristiani.

 

Trieste ed i santi di culto militare bizantino

S. Servolo (Servulus) si festeggia il 24 maggio ed è antico compatrono della città Trieste assieme a Sergio e Giusto: tre santi di culto militare bizantino adattati qui, come altrove, ad un culto locale.

Dei tre, Sergio fu infatti martire in Siria dove diede nome alla città di Sergiopolis, oggi Rusafah, le sue chiese risalgono per lo più al 6° secolo e gli viene attribuita la corsesca, od alabarda, presa a simbolo dalla città di Trieste. Giusto era venerato nella provincia d’Africa, in Egitto, Asia Minore e nell’Italia meridionale, ed ebbe dedicata la protocattedrale bizantina di Trieste. Servolo era invece originario di Lystris nell’Asia Minore (confusa da alcuni codici con l’Istria).

L’introduzione e l’importanza primaria del culto di questi tre santi a Trieste è perciò attribuibile alla formazione del nucleo militare bizantino di difesa limitanea, il tàgma o numerus, qui appunto il numerus Tergestinus, che Costantinopoli formava prevalentemente con coloni-soldati provenienti dalle diverse regioni dell’impero: greci, ma anche africani e asiatici, ed in particolare dalle popolazioni vicine, che qui erano slave e germaniche (questa è infatti una delle fasi storiche di Trieste più dimenticate o mistificate dalla storiografia nazionalista).

Le leggende religiose di appropriazione locale dei tre santi militari bizantini – dall’alabarda di Sergio traslata qui miracolosamente nel cielo dalla Siria alle vite ed ai martirii triestini di Giusto e di Servolo – sono infatti molto più tarde e li retrocedono ad età imperiale romana. Rispondendo non tanto ad un’esigenza di maggiore affezione popolare, quanto a quella politica di cancellare i titoli d’influenza religiosa e territoriale dell’impero bizantino, estinto appena nel 1453.

Si tratta cioè di una delle riambientazioni appropriative di santi praticate dall’alto Medioevo e sin oltre il 13° secolo, anche con l’ausilio del culto e traffico delle reliquie, per consolidare e giustificare giurisdizioni politico-religiose e per esaugurare, ovvero sostituire, culti precristiani locali delle popolazioni germaniche e slave di conversione più recente.

La traccia della natura tardiva di questi adattamenti locali rimane però quasi sempre resa evidente all’analisi dalla presenza e sovrapposizione di elementi culturali eterogenei ed anacronistici tra loro.

 

La leggenda triestina di San Servolo

Nel caso del culto tergestino di Servolo, la prima osservazione è che, a differenza da quelli dei compatroni Sergio e Giusto, gli si assegna come origine primaria una caverna. Cioè un genere di luogo che invece la simbologia cristiana delle origini vedeva come sede nemica ed oscura di culti pre- ed anti-cristiani.

I culti cristiani in cavità sono perciò quasi tutti di origine secondaria, come esaugurazioni di culti precristiani di divinità ctonie, cioè legate al mondo sotterraneo. Con l’eccezione dei culti originari in grotte abitate da santi eremiti (ad iniziare dai i Padri del deserto nel 4° secolo) e di quelli relativamente recenti da apparizioni mariane.

Nelle grotte si è inoltre spesso in presenza di una successione di culti precristiani che culmina nell’utilizzo romano per spelei del culto di Mithras. Anch’esso d’ambito militare sinché venne sostituito sia in oriente che in occidente da protettori militari cristiani come San Michele Arcangelo, San Giorgio, San Martino ed altri come questi nostri bizantini.

Strategica, e quindi d’antico insediamento militare, è anche la posizione del nostro sito presso un varco viario principale tra l’entroterra ed il mare. Tanto che vi troviamo un castellieri protostorici della media età del bronzo, una necropoli celta dell’età del ferro con importanti corredi d’armi e coeva all’occupazione romana, reperti romani abbondanti e significativi, ed il castello medievale su probabili fortificazioni tardoantiche. Non stupirebbe dunque scoprire nella grotta, sotto le prime vestigia cristiane, un mitreo romano sopra tracce di altri culti precristiani.

Le versioni significative della leggenda agiografica tergestina di San Servolo (sfrondate qui degli elementi storico-genealogici di fantasìa escogitati per accreditarla) narrano che nel 3° secolo la grotta sarebbe servita da rifugio al giovanetto cristiano dodicenne Servulus, che ne ritornò in città dotato di poteri miracolosi di guarigione ed esorcismo dopo ventun mesi di eremitaggio, durante i quali avrebbe anche sconfitto un drago o serpente nella valle sottostante (quella del fiume Glinš?ica-Rosandra e delle sue risorgive laterali sotterranee). Il giovane santo avrebbe infine subìto il martirio per la sua fede finendo decapitato o gettato in un pozzo che venne poi riempito di pietre.

 

Sciamanesimo e rituali precristiani

La leggenda giustifica dunque il culto sotterraneo nella grotta con il ruolo eremitico classico. Ma il resto della storia non ha nulla a che fare con l’ascesi mistica a vita degli eremiti cristiani, perché è di modello tipicamente sciamanico: il fanciullo si ritira infatti dal mondo profano (nei tempi simbolici dei 21 mesi e dei suoi 12 anni) per un iter perfectionis solitario in un oltremondo spirituale sotterraneo, guadagnandone la forza magica per scacciare gli spiriti maligni e sconfiggerne anche un’incarnazione diretta nel drago o serpente.

Che è esattamente il Lindwurm o Lintvern delle tradizioni precristiane germaniche e slave dove impersona una forza meteorologica e delle acque sotterranee e di superficie, finendo mutato perciò dalla cristianizzazione in simbolo di forza infera pagana da sconfiggere, nel ruolo simbolico di San Giorgio ed altri miti.

Ma lo ritroviamo anche poco lontano da questa stessa grotta, come a Petrinje dove si attribuiva a San Pietro la sconfitta del gran serpente che causava la siccità dello stesso fiume, o nell’uso di processioni per esaugurare un drago meteorologico nello stagno presso le rovine della città tardoantica all’Ajdovš?ina sopra Rodik.

Ed anche la doppia versione del martirio di Servolo non corrisponde a tradizione romana, ma alle decapitazione rituali ed ai pozzi sacrificali di analoga tradizione europea precristiana anche d’ambito celta. Che qui ci ha lasciato i reperti significativi della vicina necropoli presso Kastelec ed i resti di giovani guerrieri in altra grotta vicina, detta perciò Jama Mladih. Mentre lo schema dell’uccisione del giovane magico si è conservata in un vastissimo ambito simbolico precristiano di tradizioni europee legate al ciclo solare ed in particolare alle feste di primavera del mese di maggio, quando si festeggia anche S. Servolo.

L’analisi della sovrapposizione di tutti questi elementi nell’elaborazione di un mito locale per il santo militare bizantino sembra perciò esaugurazione di più strati precristiani distinti: i culti preromani e romani nella stessa grotta, e quelli etnici delle popolazioni germaniche e slave sopravvenute  tra il 4° e il 7° secolo d.C. Ed in particolare delle seconde, consolidate qui definitivamente dall’inizio del 9°.

 

Conferme rituali

Indagini archeologiche approfondite del sito potrebbero dare risposte certe, ma nel frattempo questa linea d’analisi appare sostenuta anche dal fatto che le tracce della leggenda triestina del santo risalgono appena al 13° secolo, mentre le reliquie di Servolo sono conservate nella cattedrale di Trieste come compatrono della città assieme a Giusto e Sergio, in dignità tale che lo si festeggiava con solennità straordinarie.

Tanto che il 24 maggio veniva addirittura sospeso l’esercizio della giustizia, erano vietati i trasporti e carichi pesanti e le autorità cittadine ed il popolo andavano in processione solenne con musici al suo altare per offrirgli doni di ceri e candelabri; si bandiva anche, significativemente, una gara militaresca di tiro con la balestra nella piazza maggiore, e le celebrazioni continuavano sino al 31 maggio nell’octava Sancti Servuli.

Antica risulta pure la messa solenne dello stesso 24 maggio nella grotta. Ma vi si andava in pellegrinaggio anche per raccogliere l’acqua di stillicidio inesauribile della ‘fonte del santo’ ritenuta miracolosa, e frammenti di pietra che come annota nel Seicento padre Ireneo della Croce, si usavano, anche murandoli nelle case, quale protezione da infestazioni demoniache dei luoghi e delle persone per miracolo continuo di S. Servolo.

Il Valvasor descrivendo i luoghi (1689) riferisce la credenza che il santo manifestasse il proprio potere anche sotto forma di interdizioni, come quella che impediva nei dintorni la crescita delle rape bianche che gli antichi paesani gli avrebbero rifiutato quando aveva  fame. Ed analogamente i conti Petazzi avrebbero dovuto desistere dal loro deposito di vini in un ramo della grotta, poiché vi inacidivano per lo sdegno punitivo del santo.

Il culto popolare della grotta di San Servolo si affievolì durante la seconda guerra mondiale e cessò quasi del tutto nel dopoguerra. É ripreso nel 1990 con una concelebrazione dei Vescovi di Trieste e di Koper-Capodistria, che ha rinnovato l’uso della messa solenne nella ricorrenza del 24 maggio e l’interesse di molti per il luogo e per le sue particolari atmosfere di sintesi antica tra spiritualità e natura.

 

Conclusioni

Siamo indubbiamente di fronte ad uno dei culti simbolici autentici della tradizione cristiana medievale a Trieste. Ma l’autenticità spirituale di un culto e dei suoi simboli non ne implica affatto l’autenticità storica e materiale.

Confondere le due cose è un tipico errore materialistico moderno, che allontana dalle dimensioni serene dello spirito per condurre ai labirinti ìnferi delle superstizioni e delle miriadi di ciarlatanerìe connesse, vecchie e nuove.

La nuova setta dell’inglese ‘reincarnato’ sta dunque raccontando un sacco di stupidaggini nocive a sé ed agli altri. E se qualcuno ha ancora dei dubbi su questo od altri casi analoghi, ce li scriva.

 

P.G.P.

© 27 Giugno 2011

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